Quando ho preso questo libro non ho fatto caso a chi fossero gli autori. Cercavo titoli di Carbonio perché sapevo che pubblicava cose buone, e volevo conoscerne meglio il catalogo – una curiosità dettata unicamente dal mio insano feticismo editoriale. Forse l’avevo già iniziato, quando mi sono decisa a dare un’occhiata ai nomi di chi aveva scritto quest’opera così kafkiana e senza tempo – davvero senza tempo. E lì mi sono sbalordita della mia distrazione, perché sono nomi che conosco, e grandemente apprezzo. La chiocciola sul pendio non è il romanzo più famoso dei fratelli Boris e Arkadij Strukackij (o Strugatzky). Quello è certamente Picnic sul ciglio della strada, edito in Italia da marcos y marcos e diventato cult anche grazie al film Stalker di Tarkovskij del 1979 – durante il quale, perdonami Spirito del Cinema, ho dormito saporitamente.
La chiocciola sul pendio è un romanzo che ho sentito infinitamente più mio. Credo sempre per quella ragione che mi fa sentire più miei i romanzi di OlgaTokarczuk, la trilogia dell’Area X di Jeff Vandermeer, Piranesi di Susanna Clarke. La presenza di un’entità inconosciuta e inconoscibile che permea l’ambiente abitato dai protagonisti, e di cui è impossibile comprendere appieno le istanze; la Foresta dei fratelli Strugatsky è un qualcosa di enorme, potente, senziente. È un qualcosa che agisce, riproducendosi e fagocitando il mondo intorno, e dilaga minacciando il vivere umano. La Foresta è un mistero che l’umanità combatte cercando di non finirne avvinta.
La lettura mi ha ricordato un classico letto tanti anni fa che avrei dovuto gradire molto di più, Il deserto dei tartari di Dino Buzzati, in cui si respira la stessa atmosfera stagnante e rarefatta. Questo perché i protagonisti di La chiocciola sul pendio, Perec e Kandid, vivono intrappolati nelle comunità isolate di cui fanno parte, e vengono frustrati e ostacolati nei loro tentativi di lasciarle.
Perec arriva dall’esterno, da una vita che non ci viene raccontata e un mondo che viene perlopiù taciuto. Si intuisce una modalità di vita più normale, vicina alla nostra esperienza, che però non intacca il suo presente nel Direttorato per gli Affari della Foresta, un organismo burocratizzato fino all’assurdo, in cui l’autorità è gestita secondo logiche imperscrutabili, tali da non riuscire a coglierne la logica fondante. Perec è arrivato da lontano perché affascinato dalla Foresta, vuole conoscerla e studiarla, ma proprio per questo le autorità prorogano indefinitamente la sua partenza: non è sano immergersi nella Foresta quando se ne è già soggiogati.
Kandid vive all’interno della Foresta, e desidera solo uscirne. Lavorava per il Direttorato, finché non ha avuto un incidente in elicottero che l’ha lasciato privo di memoria in una comunità bizzarra, più selvaggia, abituata com’è a dover fronteggiare la minaccia di creature simili a zombie, uomini fagocitati dalla Foresta che si nutrono di carne umana, e soccombono al fuoco.
Entrambi si preparano, fanno piani, sobillano accordi con gli strani individui che hanno intorno. Sono decisi, incuranti delle minacce che la Foresta ha in serbo per loro – lontano dal Direttorato, lontano da una comunità che si industria per difendersi.
In quest’opera scritta nel lontano 1967 e tradotta da Daniela Liberti, i fratelli Strugatsky sono più lirici, rispetto a Picnic sul ciglio della strada. Forse perché il mistero ha un sapore meno fantascientifico e più ancestrale. La Foresta è una forza sconosciuta che precede l’avvento degli umani, e non l’incontro con una tecnologia così avanzata da non riuscire a comprenderla. Non un corpo estraneo, ma un organo che fa parte della nostra storia, anche se è una storia dimenticata.
Un punto interessante è la condizione della donna nelle comunità umane e all’interno della Foresta. Com’è prevedibile – e, trovo, riportato con una certa desolazione – le donne soffrono nel Direttorato e nelle comunità di una subalternità che ne schiaccia la volontà e le rende vittime di una violenza normalizzata. Non così nella Foresta. E ne direi di più, non fosse che SPOILER.
Com’è facile intuire, questo libro l’ho adorato. Adorato del tipo “devo fare uno screenshot di questa pagina, anche se poi non la manderò a nessuno e non la posterò su nessun social network”.
Cioè tanto.