Bashavert di Veronica de Simone

Quando ho scoperto dell'esistenza di Bashavert, non è che mi avesse particolarmente incuriosita. Anzi. Sarà il fatto che non sono particolarmente sfegatata della Corea, che i draghi sono difficili da gestire in un romanzo senza renderli una monnezza. Non era nella lista degli acquisti che mi ero stilata in testa prima di andare al salone del libro, dunque quando il secondo giorno Silvia di Moscabianca mi ha annunciato che il volume era già andato esaurito, beh, poco male. Mi sono portata a casa Ultima fermata prima del vuoto – peraltro una meraviglia di lettura – e diversi volumi della collana Cuspidi ed ero contenta così.

Poi, chissà. Di Bashavert si è continuato a parlare e parecchio, e non solo sui profili Moscabianca. L'interesse è cresciuto un po' per conto suo. Sono passata in libreria per portarmelo a casa, e quando non l'ho trovato me lo so sono fatto arrivare. Il commesso alla cassa se l'è rimirato, si è letto l'incipit, la quarta di copertina. Se fossi appena più mentalmente instabile, penserei che l'autrice, Veronica de Simone, abbia incantato il titolo per accalappiare lettori. Più razionalmente, la cover è uno spettacolo.



Poi Bashavert l'ho iniziato.

Corea, sì. Non esattamente la Corea che conosciamo adesso, anche se sicuramente ha parecchi punti di contatto. Due fazioni, certo, e in guerra tra loro. Della controparte non si sa niente: vediamo solo la parte – già di per sé marcia – di Seojun, il protagonista – quanto ha, diciotto, diciannove, vent'anni? Giù di lì. Ed è una fazione che incamera in sé tutto il male delle due Coree: un dittatore divinizzato, una roboante militarizzazione, e allo stesso tempo una corsa sfrenata al consumismo, la dipendenza da social che ingloba la personalità delle persone, fondendola all'identità online – quindi la performance costante, la perdità di sé, l'esigenza di convergere verso standard di bellezza resi ancora più stringenti dall'avanzamento tecnologico che li rende raggiungibili.

In tutto questo, Seojun. Figlio del primo ministro, orfano di un fratello morto in guerra, di cui si trova a seguire i passi. Il primo ministro, va da sé, è una persona orrenda. La madre, conseguentemente, ha smesso da un po' di esserci con la testa. Seojun è perso. Si aggrappa disperatamente alla strada che il padre gli ha imposto, e per farlo segue una stretta dieta di ansiolitici. Fortunatamente ha con sé Do-yun, migliore amico, figlio del ministro degli esteri e compagno di disgrazie. Insieme si preparano all'esame per entrare nelle forze armate come cavalieri di draghi.

Non voglio discutere oltre della trama: tutto ciò che accade si sviluppa da qui. E l'autrice è una bestia. È un drago. Tutto si svolge con naturalezza, tutto è piantato nell'ambientazione e nel modo in cui influisce sulle relazioni tra i personaggi, sui loro rapporti di potere. Unica aggiunta che mi sento di fare in tal senso: il rapporto tra i draghi e i cavalieri, un legame complesso e tanto profondo da poter diventare rischioso, e che per questo viene attentamente scrutinato.

Le cose che ho amato:

Il linguaggio. A Veronica de Simone non frega niente di usare convolute perifrasi per evitare l'uso di neologismi inglesi. Si dice flame? Scrive flame. E sticazzi la Crusca.

Una tecnologia futuristica, descritta chiaramente senza pesantezza e perfettamente integrata nella cultura coreana come nella gestione del rapporto coi draghi. Meraviglioso.

Niente sputi in faccia alla cultura coreana. L'autrice è del tutto consapevole delle problematiche odierne da un lato e dall'altro e le affronta senza fanfaronate e senza fare alcuna predica. E pure la superficie è perfetta: non conosco granché la cultura coreana, non è tra i paesi che mi fanno svolazzare il cuoricino, ma di solito riesco a sgamare abbastanza bene quando un autore non ha fatto le ricerche dovute rispetto a un'ambientazione che non gli appartiene. È l'effetto 'guida turistica'. Non so dire se Veronica ci sia stata, in Corea, ma quello che posso dire è che l'ha capita.

I personaggi, chiaro, e il modo in cui si svolgono le dinamiche tra loro. Quanto di più lontano da una macchietta. E qui mi ha pure fregata: c'è un personaggio che alla sua comparsa è un tale stereotipo da far storcere il naso. E poi, oh, sorpresa. Le sfaccettature.

In ultimo, l'autrice fa quello che le pare. Non intendo elaborare oltre.

Prevedo di rivendicare una copia di I fiori di Yggdrasill della stessa autrice alla prima occasione. Ne avevo già letto bene in giro, ma come dicevo sopra non sempre mi fido degli autori che si dilettano con le altrui culture. Ci vado cauta, perché quando vengono raccontate con l'effetto 'guida turistica' la lettura mi si rovina non poco. Di Veronica ho deciso che posso fidarmi.

Consiglio massimo.