Rosamund segue La famiglia Aubrey e Nel cuore della notte, terzo e ultimo – nonché incompiuto,
dannazione – volume della saga incentrata sulla famiglia Aubrey di
Rebecca West, di ispirazione parzialmente autobiografica – e mi
chiedo davvero fino a che punto. Ha avuto una vita
piena da ogni punto di vista, ha esplorato varie carriere e affinato
la propria vena creativa, e per quello che ho carpito non ha vissuto
la letteratura come un rifugio dal mondo esterno, usandola anzi come
mezzo conoscitivo, mettendo sulla pagina quello che aveva scoperto
per trarne consapevolezze ancora più grandi sul mistero della
creatura umana. Ci sono grandi romanzieri che, riconoscendo la realtà
per quella che è, scelgono di rifuggirla, affascinati e inorriditi;
altri che vi si innestano con ancora maggiore entusiasmo,
ulteriormente incuriositi, ed è questa l'idea che mi sono fatta di
Rebecca.
Non è semplice parlare dell'ultima parte di una serie;
il punto di partenza è la fine del libro precedente, non è che si
possa disquisire così impunemente di fatti, fattacci, colpi di scena
etc. E pure guardando a quel poco che so della vita dell'autrice –
al Salone del Libro ho intervistato la traduttrice Francesca
Frigerio, che di Rebecca ne sa a pacchi, qui il post dedicato – è
difficile dal primo libro immaginare il secondo e ancora il terzo.
Tutto inizia, dopotutto, con la narratrice – Rose – ancora bambina, tra
scene di dickensiana povertà e dilanianti scelte morali, mentre il
ruolo della musica cresce sempre di più in importanza. Rose e Mary,
gemelle, suonano il piano come la madre, che era stata una grande
concertista; anche nella vita di Cordelia, la figlia maggiore, la
musica è importantissima, ma è talmente priva di talento che il
violino rischia di portarla al disastro.
Ma questo riguardava i primi volumi; in Rosamund, uscito per la prima volta postumo nel 1985, a quasi trent'anni dalla pubblicazione di La
famiglia Aubrey (in originale The fountain overflows), Cordelia ha
trovato la sua strada e così Rosamund e sia Rose che Mary sono
diventate stimate pianiste. Quali sono i temi che Rebecca West
affronta, a questo punto? Il suo alter ego è una giovane adulta con
una carriera in corso di affermazione. La guerra è finita, e si è
portata via legami preziosi – ribadiamo che il concetto di spoiler
mi è profondamente inviso – e la vita deve andare avanti.
Quindi cosa succede in Rosamund? Attorno a quali
argomenti Rebecca West rilascia le sue spire narrative?
Nulla di incredibile o epocale, a dire il vero. La
povertà è vinta, la guerra è combattuta, il talento affinato e i
morti sepolti. Rose e Mary possono procedere il ritmato andazzo delle
loro vite; che nonostante le feste e il lavoro non è che siano così
piene. Non hanno molti contatti diretti e profondi col mondo reale,
sembrano abitare un universo distaccato dal resto del mondo.
Mantengono molte conoscenze, ma uno sparutissimo numero di affetti.
Non riescono a legarsi a nessuno che non abbiano conosciuto quando
erano piccole. La cara Nancy, la zia Lily; Kate, la domestica, il
vecchio amico di famiglia, il signor Morpurgo. Rosamund, l'adorata
cugina, prende una strada di cui non riescono a capacitarsi; e per
loro, in fin dei conti, non esiste quasi più nessuno che valga la
pena conoscere.
E a volerlo ridurre all'osso, mi viene da dire che il
fulcro del libro è questo: i legami. I legami strettissimi tra i
personaggi, il modo in cui le loro esistenze si incrociano, uno
scorrere fluido che a volte si inceppa e a volte scardina una diga
nascosta. Le distanze, le questioni grandi o piccole, le mille
prospettive possibili che si possono trarre da un solo sguardo.
Certo, ci sono anche la campagna inglese, la società degli
anni '20, un sacco di musica, la bolla finanziaria del '29, ma il
filo della storia non si riassume in un traguardo raggiunto con
intento o per caso; è il fluire. Quella sostanza strana di cui
sono fatti i sogni.
(Il caro Will è citato piuttosto spesso).