Mi sembrano passati mesi, ma a mettere insieme i giorni
non si ottiene neanche una settimana intera; sabato scorso ero al
Salone del Libro e intervistavo Francesca Frigerio, traduttrice di
Rebecca West per Fazi (ora) e per Mattioli (prima). L'incontro me
l'aveva proposto Cristina, l'ufficio-stampa di Fazi, e io mi ero
preparata col timore di chi è abituato a presentarsi impreparato a
questo tipo di eventi. Mi ero presa un quaderno apposta per le
interviste – l'ho già dissacrato con pieghe e orecchiette – e
avevo letto diversi pezzi su Rebecca West, come questo e questo. E
poi avevo passato il sabato pomeriggio a vagare per gli stand e
molestare editori, a titolo personale e a titolo della rivista Spore.
Chi è Rebecca West? Per quanto concerne chi segue
questo blog, è colei che ha scritto della famiglia Aubrey in una
saga famigliare di cui sono usciti per ora soltanto i primi due
volumi, La famiglia Aubrey
e Nel cuore della notte;
ce ne attende ancora uno; doveva essere, in origine, una quadrilogia,
ma dell'ultimo ipotetico volume non rimangono che appunti
raffazzonati. Nata a Londra nel 1892 col nome di Cicely Isabel
Fairfeld, prende il suo pseudonimo
dall'eroina di una novella di Ibsen, per i suoi tratti femministi.
Non conoscevo la Rebecca femminista, nonostante la sua posizione in
materia appaia molto chiara nei romanzi; eppure in giro per
l'internet ho trovato soltanto l'affermazione del 1913, “Io stessa
non sono mai riuscita a capire che cosa significhi con precisione
femminismo. So soltanto che mi definiscono femminista tutte le volte
che esprimo sentimenti che mi differenziano da uno zerbino o da una
prostituta”. E invece era una suffragetta, e credeva in una sorta
di solidarietà femminile – cosa che oggi risulta sessista, ma che
ai tempi sarà stata una difficile necessità – ma ne chiacchiererò
poi con calma.
Una delle prime
domande che ho posto a Francesca verteva, banalmente, su come fosse
entrata in contatto con gli scritti di Rebecca. “Per caso, durante
una ricerca finanziata dall'università sulla Londra nella scrittura
femminile del '900. Non si sapeva chi fosse, c'erano giusto una
ventina di righe in un articolo. A Londra ho trovato Harriet Hume,
scritto nel 1929, ed è rimasto il mio preferito. Una Londra un po'
magica, con la protagonista a metà tra una strega bianca e una
musicista.”
“In seguito ho
fatto qualche traduzione per Mattioli; il catalogo era molto
maschile, e quando ho proposto Rebecca West ho chiesto all'editore di
leggere una sola pagina della Famiglia Aubrey di fronte a me, e se
non fosse piaciuta non avrei più insistito. L'editore è arrivato
alla quindicesima riga, ha chiuso e ha detto 'Si fa'. Nel giro di due
anni avevamo tradotto tutti i volumi. Baricco scrisse una recensione
entusiastica su Repubblica e la prima edizione andò esaurita. Tempo
dopo Neri Pozza ha pubblicato Il ritorno del soldato.”
“In Italia però
la pubblicazione di Rebecca West è stata discontinua, mai completa.”
ho fatto presente.
Francesca mi ha
rassicurata; è colpevolmente vero – colpevolmente dal punto di
vista letterario, perché in un mondo dei libri ideale, ci sono
scrittori di cui tutto dovrebbe essere disponibile sempre, in
qualsiasi luogo, in qualsiasi lingua – ma Fazi si appresta a
correggere l'anomalia, almeno per quanto riguarda la narrativa, con
un'uscita all'anno. Quando le ho chiesto se Harriet Hume fosse in
programma, non mi ha potuto rispondere, perché evidentemente sono
cose ancora da definirsi in casa editrice, o magari c'è un po' il
gusto della suspance. Io ci spero un sacco, me l'ha presentato troppo
bene, – negli appunti non sono riuscita a far stare tutto, le mie
competenze stenografiche non sono un granché. Se vedeste i miei
quaderni, se solo vedeste i miei quaderni...
Con Francesca
abbiamo chiacchierato dei reportage scritti da Rebecca tra gli anni
'60 e gli anni '80, soprattutto del reportage Black
lamb and grey falcon
scritto nel 1941 in seguito a diversi viaggi in Jugoslavia, del suo
ruolo di giornalista di punta ad assistere al processo di Norimberga,
della Rebecca West Society of America, istituita dai suoi nipoti, con
cui aveva un rapporto meraviglioso.
“Mentre col
figlio, Anthony...” ho accennato, e Francesca ha deviato per
seguirmi, e dalla bibliografia di Rebecca siamo passate a
chiacchierare della sua biografia.
“Il rapporto col
figlio è stato molto difficile. Rebecca viaggiava sempre, non ha
sacrificato la carriera alla maternità. E Anthony ha saputo chi
fosse suo padre soltanto da adolescente (per volontà del padre
stesso, lo scrittore H.G. Wells); quando Rebecca rimase incinta, e
aveva appena iniziato la sua carriera di attrice, Wells la fece
spostare in un cottage isolato per mettere tutto a tacere.”
“Anthony scriverà
della sua relazione con la madre nel romanzo Heritage,
che Rebecca cercherà disperatamente di non far pubblicare, perché
attraverso il personaggio egoista di un'attrice la accusa
pubblicamente di essere stata una cattiva madre. 'Nessuno nella
storia perdona una donna il cui figlio definisce una cattiva madre',
scriverà Rebecca. Con Anthony i rapporti saranno sempre tesi, ma con
la nascita dei nipoti ci sarà un riavvicinamento.”
Qui, lo ammetto, i
miei argomenti hanno tentennato. Ritengo spiacevole che a parlare di
autori uomini si taccia sulle loro vite – a meno che non abbiano
vite dannate come Hemingway e London – mentre con le autrici è
tutto un fiorire di “Ma mi dica, signora mia, come ha fatto a
conciliare famiglia e lavoro? Avrà mica sacrificato la sua vocazione
di madre e casalinga? Ci dica mentre impasta il pane, signora mia”,
e sarei anche meno amara sul tema se giusto un paio di settimane fa
non mi fosse capitato sotto gli occhi il titolo di un'intervista a
una scrittrice che presentava – solo nel titolo – tre o quattro
stereotipi femminili becerissimi da sputare in faccia
all'intervistatore, al direttore editoriale e dissacrare le tombe dei
loro antenati. Parole mie, Francesca è innocente.
Quello a cui volevo
arrivare era la forte incoerenza tra la Rebecca che scrive e la
Rebecca nei suoi rapporti con gli uomini; tra una Rose fortemente e
lavorativamente indipendente, la crudezza con cui è raccontata la
relazione tra i genitori – padre che gioca d'azzardo e sperpera
quel poco che la madre riesce a mettere da parte – e la Rebecca che
si lascia esiliare da Wells, - e qui possono anche essere follie di
gioventù – e che in età più avanzata permetterà al marito di
instaurare in casa la giovane segretaria con cui aveva una tresca. I
tempi erano diversi, va bene. Ma Rebecca quei tempi li aveva capiti,
e vedeva il giusto, almeno – letteralmente – sulla carta.
“Aveva un rapporto
sottomesso con gli uomini” ha ammesso Francesca, e credo che
condividesse la mia perplessità, “come se dovesse pagare il prezzo
del suo successo, come scriverà in una toccante lettera alla
sorella. Con Rose trova una conciliazione; è una musicista con una
carriera, ma ha anche una vita privata che...”
E qui taccio, che
gli spoiler sulla Famiglia Aubrey già me li sono beccati io, a voi
li risparmio. Diamine.
“Ma oggi Rebecca è
capita?”
“Sì, è capita.
In questo momento le saghe vanno bene, c'è un forte ritorno alle
storie famigliari...”
Ma non era questo che volevo sapere, la mera questione del pubblico e delle vendite.
“Crede che il
pubblico la veda come una scrittrice 'al femminile'?” - che è un
po', come si può facilmente intuire, una generalizzazione di stili e
intenti che mi infiamma le sacre ovaie di molotov.
La risposta è stata
rassegnata e sincera. La questione di piazzamento del prodotto
Rebecca è intricata. Chissà perché, non ho trascritto l'esatta
risposta. Ma seguendo il filo degli appunti, siamo tornate a parlare
del rapporto di Rebecca col femminismo, del suo attivismo, dei suoi
articoli sferzanti, delle sue amicizie lunghe una vita.
“Aveva una
fittissima rete di amiche, prendeva sotto la sua ala le scrittrici
esordienti che le interessavano, arrivando a ospitarle sotto il suo
tetto per permettere loro di scrivere. Nel '69 Antonia Frazer
pubblica una biografia di Maria Stuarda e le scriverà in toni
entusiastici. Sarà amica e rete di sicurezza anche di Anais Nin di
Nadine Gordimer.”
“Non conoscevo
questa Rebecca,” ho commentato, perché di questo suo entusiasmo
per l'altrui sorte non avevo letto da nessuna parte “sembra una
persona meravigliosa. Avrei voluto che fosse più felice.”
“Ma è stata
felice.” mi ha rassicurato Francesca “A prescindere da tutto il
resto, non ha mai abbandonato la scrittura. Scriveva sempre. E ha
avuto amicizie lunghe una vita, e a ottant'anni passati è volata sul
set di Il
ritorno del soldato
di Alan Bridges, ancora arzilla.”
E credo tutto
sommato che Francesca avesse ragione, lei che la conosce meglio di
me, perché l'atto di traduzione è fortemente conoscitivo, entri
nelle frasi di una persona per assimilarla al meglio, che devi
vederla chiara quando la rileggi.
Rebecca West.
(quanto spero di
leggere presto Harriet Hume, diamine).