Cat Person di Kristen Roupenian

Di Cat Person per un po' si è parlato parecchio; me lo vedevo rimbalzare sui social con la sua impattante copertina nera, articoli sull'autrice, interviste all'autrice etc; la curiosità mi era salita subito, ma le copie della biblioteca erano tutte in prestito e mi ci è voluto un po' per ricordarmi di cercarlo di nuovo, trovandolo finalmente disponibile e pronto ad essere divorato. I casi editoriali spesso sono così, fanno un grande clamore all'inizio e poi una calma che al confronto pare silenzio; ritengo che l'esordio di Kristen Roupenian sia ben lungi da diventare meteora, e che le sue prossime opere potranno soltanto sedimentare una potenza narrativa che è già stata largamente accettata.


Cat Person è una raccolta di racconti, ed è anche per questo che l'immediato successo risalta. Già da qualche anno la falsa credenza che i racconti non possano vendere, che il pubblico non sappia che farsene di storie tanto brevi, è stata smentita da improvvise esplosioni di interesse nella comunità dei lettori – con Alice Munro su scala internazionale e Elvis Malaj su scala nazionale, per non parlare del ritorno nella discussione culturale di Raymond Carver, sostenuto pure da tutta la succosa vicenda col re degli editor Gordon Lish. Ma sto divagando, e di brutto. Torniamo al caso specifico.





Cat Person, portato in Italia da Einaudi nella traduzione di Cristiana Mennella, Gianni Pannofino e Maurizia Balmelli, destinato a diventare una serie antologica per HBO. Come dicevo, è una raccolta di racconti ed è molto difficile parlare di una raccolta di racconti; se seguissi la semplice struttura della recensione di un romanzo, dovrei riassumere in soldoni il punto d'inizio di tutti i racconti, per poter poi dire la mia sul modo in cui affrontano le tematiche profonde – o quelle che ritengo tali – e sviscerano il punto di vista dell'autrice. Ma con le antologie è diverso; devi trovare il punto d'incontro, quello in comune, e da lì cercare di ripercorrere un sentiero trasversale a tutte le storie, mescolandole insieme nella loro risicata omogeneità.


In Cat Person il tema comune a tutti i racconti sono le difficoltà che si incontrano nel rapporto con gli altri, nello specifico nelle relazioni e quasi relazioni amorose. Si inizia col botto del disturbante, un legame a tre morboso e malato, perfino avvilente, e poi si prosegue con una certa normale quotidianità, poi si vira verso l'impossibile, si arriva pure al magico. Ma nonostante la varietà inconsueta delle trame e dei generi in cui si incastrano i racconti, puntano tutti il faretto sulle relazioni interpersonali, e tutti i terribili incagli a cui possono andare incontro. Gli inceppi dei silenzi e delle parole, il mondo esperito a tentoni, con le braccia dritte in avanti per cercare di interpretarlo al meglio, e poi reagire con conseguente e falsissima coerenza.





Un aspetto interessante di Cat Person – che ho già apprezzato in Parlarne tra amici di Sally Rooney – è la consapevolezza dei personaggi nel modo in cui mettono in moto comportamenti manipolatori, la strategia difensiva che piazzano tra sé e quello che fanno, perché l'immagine che hanno di se stessi non ne rimanga compromessa, i continui “ma” che fanno dell'uomo – inteso come essere umano – una roba non troppo carina. L'egoismo che ci rende stronzi, ecco. Cat Person è un po' su quella roba lì, e sull'incomprensione, sulla ricerca di una felicità che percorre binari malati, lo sforzo narrativo per incanalare un impulso nella storiella che ci raccontiamo di noi.


Ovviamente non è tutto brutto e squallido e triste; lo stesso essere umano che ho appena tramortito sul banco degli imputati è tutt'altro che brutto-squallido-e-triste. Quella è solo una parte di noi, quella che ci dice di ottenere quello che vogliamo nell'immediato o nel lungo periodo, fosse anche falciando via una fila indiana di innocenti. Ma nelle persone c'è un sacco di meglio, – c'è principalmente di meglio, dai, riconosciamocelo come esemplari della razza umana – e Kristen Roupenian ne parla. Le cose brutte di cui ho parlato si trovano in storie ampie e articolate, in cui veniamo a conoscere tutti i personaggi coinvolti – le vittime e i carnefici, che di norma sono vittime loro stessi – e le azioni dipendono da una coesione di ragioni confuse, e le ferite si infliggono per errore.


Se dovessi riassumere tutta l'antologia in una frase, sarebbe “nessuno di noi è perfettamente d'accordo su quello che sta succedendo”. La sensazione è di trovarsi parte dell'inganno ordito da un'altra persona, anche se da lettori possiamo ricoprire soltanto il ruolo imprescindibile – e inoffensivo – di uno spettatore parecchio interessato.

(diciamocelo, potevo scegliere se scrivere tutta 'sta pappardella o limitarmi a twittare “ancora, grazie” all'autrice; e più rileggo quanto ho scritto, più la seconda opzione inizia a sembrarmi sensata).

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