Per un certo periodo, Dal tuo terrazzo si vede casa mia
di Elvis Malaj è stato il libro che dovevi leggere; come L'amica
geniale, per intenderci. È capitato che fosse candidato al Premio
Strega, e non è poco per una raccolta di racconti edita da una casa
editrice piccola e novella, – Racconti Edizioni, tanto per non fare
confusione. Quando l'anno scorso mi sono presentata allo stand della
casa editrice, l'ultimo giorno poiché si sa che è il momento degli
sconti, l'avevano esaurito, e io sono rimasta con la voglia di
leggerlo, che comunque si accompagna alla voglia di leggere centinaia
di altri libri, e il tempo è quello che è mentre i miei scaffali
strabordano, quindi...
Poi me lo sono trovato davanti in biblioteca, e allora
che fare, se non abbrancarlo come un condor che dall'alto sospira
odore di carogna? Mi ci sono lanciata, dopo un paio di settimane nel
Limbo – cioè la pila di libri da leggere accanto al letto che al
momento misura poco meno di un metro – ho iniziato a leggerlo. Il
primo racconto mi ha stordita, perché attacca a Piazza Vittorio, qui
a Torino, e mi fa sempre un po' strano trovare sulla carta i luoghi
che abito; poi i racconti si sono susseguiti uno dopo l'altro, e continuavano a convincermi. Finito uno, iniziavo l'altro. Difficile
dire quale sia il mio preferito. Quello dei raccoglitori di
televisori rotti? Quello dell'appuntamento con la fiamma delle
superiori che non ingrana? Quello della riverginazione ipotetica di
una ragazzina? Difficile da dire; forse l'ultimo, quello che dà il
titolo alla raccolta. Ma di che parla, poi, 'sta raccolta?
Abbiamo Elvis Malaj, dunque, un giovane adulto che se mi
facessi dei gran complessi definirei “ragazzino”, perché ha un
paio anni meno di me – è del '90 – e si è soliti rinnegare
l'altrui età adulta per potersi smerciare ancora come virgulti a 30,
40, 50 anni – scherziamo, signora? È giovanissimo, 60 anni
compiuti ieri. Elvis, dicevo. Elvis ha 28 anni ed è nato in Albania,
il che lo rende tecnicamente albanese. Non so se sia il caso di
approfondire o meno il discorso; a unire coerentemente la raccolta
risalta l'origine dell'autore, in multipli ritratti di albanesi, perlopiù maschi e perlopiù giovani. Racconta diversi modi
di essere stranieri in Italia, anche il non essere stranieri, che
sembra declinare a scelta. Ma non è sempre una chiave di lettura
necessaria; certe storie rimarrebbero in piedi pure togliendoci da
dentro l'Albania.
Dal tuo terrazzo
si vede casa mia ho finito di leggerlo al Salone del
Libro. Non ricordo che giorno fosse e non ho davvero voglia di
controllare, anche se mi basterebbe dare un'occhiata a Instagram. Ho
postato lo screen di uno scambio di battute, irritata a bestia, e poi
sono andata avanti con la lettura e mi è venuto da piangere e avrei
voluto postare un altro screen, ma uno bastava e avanzava, – tanto
più che avevo condito con una velata minaccia a Malaj di spicciargli
casa, che avrò ben ragione, cosa gli viene in mente di estrarre
dalla propria testa di scrittore cose che gli fanno male e piazzarle
negli occhi del lettore così, a pungerlo a gratis, da lontano, bello
sicuro dentro le sue mura?
Elvis Malaj scrive in un modo che ti viene voglia di
sfasciargli la macchina; in senso buono. E non è che tracci queste
grandi trame complesse, che si diverta a sconvolgerti con colpi di
scena a effetto. Sono vite normali di persone normali, o sono vite
normali di persone strane o viceversa. Nel caso dell'ultimo racconto,
è la vita normale di un tizio che fa qualcosa di strano – scavalca
un balcone per annaffiare le piante della vicina di casa in vacanza e
si trova davanti la figlia della padrona di casa – e... beh, è
tutto lì. Tutto lì e nella visione del mondo del protagonista,
tanto chiara e lucida e consapevole da fare male. E visto che
l'essere umano è fragile almeno quanto è coriaceo, ahia, Elvis.
Ahia.