Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi


Racconto d'autunno di Tommaso Landolfi, prima edizione Vallecchi nel 1947 e oggi ripubblicato da Adelphi – ma vogliamo ad Adelphi tutto il bene che merita, con tutti i capolavori che va a ripescare dalla storia della letteratura? Chiediamocelo.
Ci sono un po' di cose da premettere, prima di chiacchierare della – semplicissima – trama. Primo, che io a Landolfi voglio ormai parecchio bene, e del perché ho già chiacchierato dopo aver letto Il mar delle blatte e altre storie. Secondo, Landolfi ha scritto questo breve romanzo di getto dopo la fine della guerra, come a esorcizzarne l'orrore, e i riferimenti autobiografici non mancano. Terzo, la questione della casa, che diventa da rifugio a mistero di cunicoli, da nido a trappola. Vorrei leggere qualcosa di più sulla questione, magari poi per scriverne. Racconto d'autunno mi ha fatto pensare al poco che ho letto di Shirley Jackson, Abbiamo sempre vissuto nel castello e L'incubo di Hill House, di cui è stata tratta recentemente l'omonima serie Netflix; mi ha fatto ripensare anche a Di bestia in bestia di Michele Mari, e ai pomeriggi trascorsi da sola in casa, da piccola, quando ancora potevo illudermi che dietro la realtà si celasse un mondo più strano e interessante, e mi immaginavo mostri in soffitta e passaggi segreti. Le case spaziose sono una manna per l'infanzia, non per quello che contengono ma per quello che non contengono, quello spazio vuoto che se hai abbastanza fantasia puoi riempire di... beh, di tutto.
Ma veniamo all'amico Tommaso, che merita tutta la nostra attenzione. Come dicevo, la trama è semplice. Il protagonista e narratore milita nella Resistenza ed è in fuga da giorni nei boschi. Incontra una dimora signorile che gli pare abbandonata, e vi entra con la forza dopo aver visto i suoi richiami lungamente ignorati. Dentro un vecchio con un fucile e due cani apparentemente feroci; ma il vecchio, per quanto scostante, non pare aggressivo. Lo lascia stare, lo invita ad andarsene, ma non lo caccia, consapevole che uscire nelle braccia dei soldati equivarrebbe a una condanna a morte di cui preferirebbe evitare la responsabilità.
Il protagonista vaga per la casa, incontra il dipinto di una donna e se ne crea una narrazione personale; vaga ancora, scopre cunicoli, segue il vecchio che ancora di più lo vorrebbe vedere partire. E viene un momento in cui la realtà di scolla dal romanzo, e l'atmosfera si fa gotica e inquietante, buia e ombrosa. E poi di nuovo torna brusca la realtà, ancora più cupa e tetra del mistero, e così via.
È un romanzo stranamente lineare, e tuttavia bizzarro come sa essere bizzarro Landolfi, ed è bello che sia così.