Il mar delle blatte e altre storie di Tommaso Landolfi


Io e i classici italiani non andiamo molto d'accordo, – una relazione che mi riprometto di risanare quest'anno – anche se parliamo di quel '900 che, sulla carta, dovrebbe piacermi. Non saprei ben spiegare perché io non abbia amato Sciascia, Pavese, Buzzati. Ne ho letti i titoli che vengono decantati come capolavori, eppure non sono riuscita ad apprezzarli se non a livello razionale; e so bene che sono io che non risuono ai loro racconti, e non i racconti ad essere afoni, ma poco posso farci. Se leggo, è per piacere.
Ci sono tuttavia eccezioni che mi suggeriscono l'esistenza defilata di un sottobosco d'autori italiani del '900 che potrei adorare. La prima eccezione è ovviamente Italo Calvino, sul quale non ha senso dilungarsi. È Calvino. Mr Se una notte d'inverno un viaggiatore, Sir Il visconte dimezzato, Lord Il barone rampante, Sua Signoria Il cavaliere inesistente, Monsignor del Castello dei destini incrociati. Di che presentazioni ha bisogno?

L'altro è Tommaso Landolfi, ho saputo della sua esistenza pochi anni fa e ho letto per la prima volta un suo libro esattamente il primo dell'anno. Un'antologia che prende il titolo dal primo racconto, Il mar delle blatte e altre storie, un'edizione piuttosto giovane, uno scattante Adelphi di neanche duecento pagine corredato da interessanti note in fondo al volume.
Landolfi volevo provarlo da un po'; la mia coinquilina ne ha letto molto e ne ha detto benissimo, e se ci sono lettori del cui giudizio mi fido più di quanto non mi fidi del mio, lei è una di questi. Non so dire cosa mi abbia fatto decidere di iniziare proprio da Il mar delle blatte. Un po' il titolo alla Michele Mari – lo stesso giorno ho preso anche Verderame, e ho una gran voglia di leggerlo, – un po' il fatto che fosse un libriccino piccolo e poco ingombrante. Non so dunque cosa me l'abbia fatto scegliere, ma è il libro con cui ho trascorso buona parte del primo dell'anno, – insieme a La storia di Henry Esmond di William M. Thackeray, che quel giorno ho letto fino a farmi bruciare gli occhi – e mi è piaciuto un sacco.
Tommaso Landolfi è nato nell'agosto nel 1908 a Frosinone, ha esordito nel 1937 con la raccolta di racconti Dialogo sui massimi sistemi, ha vinto il Premio Strega nel 1975 con A caso e muore quattro anni dopo a Ronciglione.
In Il mar delle blatte e altre storie ho trovato molti elementi che conosco e che amo: ho trovato sprazzi dello stesso Calvino, di surrealismo, un po' di Kafka, di Boris Vian, di grottesco, assurdo e meraviglioso.
Compaiono diversi racconti e non è facile decidere se qualcuno si innalzi sugli altri. Il primo, un po' metaletterario e totalmente irrealistico e improbabile, - in cui un uomo assiste alla trasformazione del figlio in un essere creatore, da cui fuoriescono oggetti e strani personaggi, e col quale si cimenterà in una traversata insieme a un'assurda ciurma nel mar delle blatte, alla ricerca di... ma lasciamo stare. Accenno alla donna amata, al verme coraggioso e innamorato, alle blatte e alla furia.
Nella raccolta ci sono pezzi di follia scientifica – e mi viene da dire che io e Landolfi c'intenderemmo perfettamente, che mal-capiamo la matematica allo stesso modo – strane feste di nozze, lupi mannari e lune, cani senzienti alla ricerca dei propri sogni, strane romanticherie da bordello, mondi strani che si aprono sotto le palpebre del lettore e... beh, c'è un sacco di roba.
E quindi vi invito caldamente ad approcciarlo, questo Landolfi. Nei racconti o nei romanzi che sia, è un mattone della letteratura italiana che non può mancare a chi ama Calvino, la corrente surrealista, la mollezza di mille mondi evanescenti.
Mi ringrazierete, davvero.
Mi ringrazierò anch'io, quando varcherò – a breve – le porte della biblioteca per trarne ancora un po'.