Scrivo questo post perché l'ho sognato.
Giuro.
Purtroppo nel sogno non compariva il buon King. C'ero solo io che mi infervoravo nella mia stanzetta – che era sempre la mia stanzetta, senza mezzo fronzolo onirico – e scrivevo la pappardella a seguire.
Almeno credo. So che scrivevo di King, ma non è impossibile che scrivessi della serie tratta da 11.22.1963, scovata su Prime e fonte di svariate storture di naso – la sto guardando col mio ragazzo, ormai abituato al momento in cui stoppo le puntate per lamentarmi di quella o quell'altra scelta. Se avessi scritto della serie, comunque, il succo sarebbe stato: povero Re, che (quasi) tutti gli audiovisivi tratti dalle sue opere finiscono per rivelarsi mezze ciofeche.
Che non è poi questo grande argomento. Lo sappiamo già che King ha questo problema ricorrente. Buona fortuna a riprodurre le sue atmosfere su pellicola, o a rendere i moti interiori dei suoi personaggi senza infarcire la storia di nuove comparse solo per avere qualcuno con cui il protagonista può parlare. E poi se volessi sviscerare l'argomento, dovrei pure imbarcarmi nella visione di tutti i film e tutte le serie. E un paio ce le ho anche in lista, intendiamoci. Ma quanto tempo mi ci vorrebbe?
Parliamo d'altro. Parliamo di qualcosa di effettivamente pregnante, anche se fortunatamente in Italia non è arrivato che un riverbero del mezzo scandalo. E meno male, perché ci tengo a specificare subito che secondo me si tratta di false illazioni, stanche paranoie, accuse mosse per abitudine. Questa è la mia posizione, sperando – ardentemente – che future e orrende scoperte non mi smentiscano.
Il 15 luglio il buon Stephen posta questo tweet su Twitter*:
Traduzione: la lista di Epstein è reale. Come Babbo Natale e la Fatina dei Denti. Ulteriore traduzione: la lista di Epstein non è reale, a meno che non ammettiamo l'esistenza di creature fantastiche. Quindi, la lista di Epstein non è reale.
Si scatena un terremoto intorno al profilo di King: si tratta forse di un'involontaria ammissione di colpevolezza? Nega l'esistenza della lista perché sa di esserci in mezzo e dunque spera in qualche modo, con la sua autorevolezza di scrittore, di convincere con una manciata di parole che la suddetta lista non esiste?
È stupido, Stephen King? Io capisco che personaggi del calibro di Elon Musk e Donald Trump e Kanye West ci abbiano abituati ad aspettarci di leggere deliranti inneggiamenti al nazismo, minacce internazionali in maiuscolo e quant'altro. Non è gente che sta bene, a lasciargli in mano uno smartphone succede quello che succede. Kanye è dipendente dal gas esilarante – posso dire? La sostanza stupefacente più Joker di tutte – e Elon Musk lo sa solo il suo pusher. L'Uomo Arancione lasciamolo lì, Grand Visit del Ci è e Ci fa.
Ma Stephen King, sobrio da più di trent'anni, che ha fatto dell'abuso uno dei suoi mostri? Possiamo aspettarci lo stesso da Stephen King? Da quando è scoppiato l'affaire Gaiman, Gaiman è scomparso. Al rumore attorno alla sua condotta ha risposto rifugiandosi nel silenzio, perché è la cosa migliore che si può fare in questi casi. King farebbe lo stesso? Non lo so. Di certo non se ne uscirebbe con l'equivalente di un fischiettare sospetto di fronte a un'accusa che nessuno gli ha rivolto.
Ma poi, questa lista. Questa lista. Che è? Esiste davvero?
Forse. Chi può dirlo? Di certo è stato Trump a portarla alla ribalta, a sbandierare la promessa della sua rivelazione in campagna elettorale. È anche per questo che sta crollando nei sondaggi – oltre, beh, per tutto il resto. La lista, così come è immaginata dal grande pubblico, è una questione trumpiana. E King, che mai si è fidato di Trump, dubita della sua esistenza.
È così strano? È così assurdo? Magari la lista esiste. Magari no. Ha importanza se uno scrittore ci crede? C'è una grande differenza tra gli Epstein Files – l'insieme degli atti processuali – e la Epstein List. Negare la seconda non significa negare quanto viene raccontato nei primi.
Sono stanca. Sono stanca, hombre, di vedere gente trascinata nel fango, colpevole soltanto di supposizioni. Stanca di vedere simboli scivolare su un'incomprensione altrui. Stanca delle aggressioni a bersagli più grandi, come se questo bastasse ad annullare la furia. Stanca di chi prende le proprie impressioni e ne fa certezze.
Ci aspettiamo il peggio, è vero. Siamo stati traditi ripetutamente dai nostri beniamini, da coloro da cui meno ce l'aspettavamo, e alla fine ci siamo arresi al fatto che nessuno è perfetto, nessuno è davvero e fino in fondo degno di fiducia. Prima Marion Zimmer Bradley, poi J.K. Rowling. E infine – “infine” per adesso, s'intende, neanch'io sono tanto ottimista – la stilettata Gaiman. Conosco non una ma due persone con Delirio tatuata sul braccio. Io pure volevo farmi il suo simbolo sulla spalla. È andata bene che sono pigra e odio spendere.
Ma gli stronzi, gli infami e i maniaci esistevano prima ed esisteranno dopo. Ci dobbiamo venire a patti, col fatto che si sanno nascondere, che qualche volta, forse, neanche loro sanno chi sono. Che a volte ci ingannano e dopo anni di affetto la realtà arriverà con la violenza di un ceffone.
Non possiamo reagire dando per scontato il peggio. Un peggio altamente improbabile, senza prove. Forse solo per poter dire che l'avevamo capito subito.
Spero che il Re se lo stia vivendo bene, questo tentativo di cancellazione. Che abbia staccato i social e sorseggi succo d'arancia fresco seduto sul portico insieme alla moglie Tabitha, volutamente ignaro, reso indifferente dall'età.
Mannaggia a Twitter, mannaggia.
*sì, lo chiamo Twitter, visto che quel patema del proprietario si ostina a chiamare la figlia con un nome sbagliato. Non è l'unico a poter usare i dead name.