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Qualche tempo fa mi è venuta voglia di leggere Rosemary’sbaby di Ira Levin. Pescato in biblioteca in una vecchia edizione economica della Mondadori. Mi era piaciuto parecchio, un po’ per la rappresentazione umanissima dei personaggi, persone la cui normalità funziona nel contrasto con l’inquietante eccezionalità della situazione, e soprattutto per il finale a suo modo anti-Esorcista. Poco dopo ho aggredito I ragazzi del Brasile, lontano dalle tinte horror classico di Rosemary’s baby, pieno di assurdo, e giusto ieri ho divorato con foga Un bacio prima di morire. Sur sta facendo un ottimo lavoro di recupero di Levin nella collana Bigsur, e conto di poter leggere presto tutto il resto. Levin è un autore eclettico, che sperimenta coi generi e con gli stili. Finora nessun libro che ho letto somigliava all’altro.
Ebbene, di che parla Un bacio prima di morire, tradotto da Daniela de Lorenzo? Diciamo che mi ha fatto tornare in mente un romanzo letto pochi mesi fa, Perdersi di Elizabeth Jane Howard. La consapevolezza di una macchinazione ordita da un piacevole e fascinoso sociopatico, un individuo pieno di sé credibilissimo come cavalier servente, un gentiluomo perfido e assetato di soldi. Nel romanzo di Howard, l’inquietudine montava sostenuta capitolo dopo capitolo: scopriamo presto che l’avvicinarsi dell’uomo è un piano ben congegnato, e temiamo davvero che la protagonista ci caschi. In Un bacio prima di morire, lo stesso incipit corrisponde alla violenta scoperta delle carte. Il protagonista-antagonista è furioso. La sua ragazza e compagna di università è rimasta incinta e lui sa che il ricco padre di lei la diserederà, mandando in fumo i suoi piani per un futuro radioso. Deve farla abortire, ma lei non vuole. Si lascerà convincere? Lui potrebbe procurarsi delle pillole abortive da un compagno che frequenta farmacia, ma se non funzionassero? Cosa dovrebbe fare, per cavarsene fuori in modo da tenersi al sicuro dal padre di lei? Cosa?
O meglio, cosa o chi deve sacrificare per raggiungere il suo obiettivo? Perché il punto è un po’ quello. Un protagonista che si ama profondamente, e che vuole per sé un meglio dorato, ed è pronto a tutto per aiutarsi a ottenerlo. Perché se lo merita. Nessuno più di lui merita di essere felice. E della trama io non direi altro. Con Ira Levin ho ormai quel rapporto che mi risparmia di leggere una quarta di copertina: so chi è l’autore e tanto mi basta, e i suoi libri me li gusto senza saperne praticamente nulla. Mi guardo dal dire di più perché Un bacio prima di morire è un viaggio inaspettato, in cui è difficile immaginare d’anticipo come vadano le cose. A Levin piace stupire, e lo fa in modo spontaneo, senza fanfare. A parlare delle singole parti, rovinerei quelle precedenti. Posso dire che le tinte sono fosche, si trovano ossessioni e indagini machiavelliche – in cui la polizia praticamente non ha ruolo, non è un romanzo investigativo in questo senso, e neanche lo definirei un giallo, nemmeno noir. È più un ritratto che poi diventa scena e di nuovo ritratto di coloro che poco a poco si sono aggiunti. Inizia a suo modo con un passo: con uno scavallamento della linea che separa dagli altri coloro che sono capaci di cose orribili per motivi futili, e il resto del romanzo è quello che ne scaturisce. Un romanzo di conseguenze.
È incredibile che sia il primo romanzo di Levin. Così difficile nella sua macchinazione, così ben congegnato, coi personaggi così completi. Mi ha ricordato, oltre Perdersi, pure Rebecca la prima moglie di Daphne Du Maurier. E ora che ci penso, dice tanto della comprensione dell’autore riguardo al rapporto tra uomini e donne. Non vedo l’ora di leggere il suo Stepford Wives (da cui è tratto il film La donna perfetta), considerato un horror femminista – ma anche una distopia, ma anche un thriller satirico, ma anche-
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