La piccola conformista di Ingrid Seyman

 Questa recensione sarà breve. Sarà a malapena una recensione, che stamattina ho da fare. In realtà avrei ben altro da scrivere, visto che le letture mi si stanno accumulando già finite e non trovo il tempo di parlarne. Dovrei parlare di Medea, scrivere un post su romanzi e femminismo che mi gira in testa da giorni e che ho già iniziato almeno tre volte, chiacchierare di Fabio Stassi e del suo La Fumeria. E invece parlo di questo, perché non mi so trattenere. È che questo libro mi ha presa come non pensavo mi avrebbe presa. Non che pensassi che non mi avrebbe presa, altrimenti l’avrei lasciato in biblioteca, comodo sul suo scaffale Ma fino a questo punto? Da non fare quasi altro tutto il giorno, da ridere contenta e rilassata, comodissima nella conca scavatami dal romanzo, con la sua atmosfera, i suoi personaggi, la voce della protagonista che riesce chissà come a metterti così a tuo agio? La piccola conformista di Ingrid Seyman, edito da Sellerio nel 2021 nella traduzione di Marina Di Leo.

 

 

Come mi aspettavo che fosse: visto che la protagonista si identifica come una “piccola conformista”, o almeno, così viene presentata dal titolo, mi aspettavo un atteggiamento molto più reazionario, più duro, inflessibile. Mi aspettavo una virata verso la Thatcher, Nixon, Reagan, che comunque gli anni in cui è ambientato sono quelli, anche se ci troviamo in Francia, a Marsiglia – che voglio assolutamente visitare, Marsiglia con le sue banlieu e i suoi colori, l’ho solo intravvista dall’auto.

Com’è effettivamente: invece Esther, la protagonista, non è affatto inflessibile, reazionaria in senso Thatcheriano. Apprezza l’ordine, la calma, lo studio attento, si rilassa con la grammatica. Ma è nata da due genitori ex-sessantottini che ancora si aggrappano – almeno, la madre – ai vecchi ideali, trascorrono un sacco di tempo nudi, giocano a Giorno di paga anziché a Monopoli e discutono delle implicazioni coi bambini. Mi aspettavo una Esther insopportabile, intoccabile dall’esterno, col cuore di ghiaccio. E invece, per pragmatica che sia, vuole bene al fratello incasinato e alla madre che si fa in mille.

 


Dunque, la trama in breve, brevissimo. Allora, il romanzo, brevino, copre più o meno tutta l’infanzia di Esther, fino ai tredici anni. La sua vita in famiglia con tutte le idiosincrasie di una famiglia strana – il padre che recita e si filma quando è solo in casa, in modo da mostrare il risultato al resto della famiglia e ammorbarla con continue domande sulla sua performance, le continue liste cantate per mettere in ordine le cose, la fissazione per la religione ebraica del padre che è ebreo a intermittenza, quando ne ha voglia, quando se ne ricorda…

A pensarci bene, è chiaro fin da subito che sono le fissazioni del padre a incasinare la famiglia di Esther. Beh, non è del tutto esatto, perché il fratellino Jeremy, di tre anni più piccolo, è una piccola belva: rompe ciò che ha intorno, rompe le ossa che ha dentro, urla, lancia, sempre irrequieto.

La madre è il punto di luce del romanzo. Voglio dire, senza di lei non sarebbe un romanzo tetro, perché la piccola conformista è vivace e fantasiosa, non ha un buio dentro in cui trattenerti, però la madre è proprio di quelle che-di quelle. Gioca coi bambini, li trascina e si fa trascinare, con loro sembra divertirsi davvero. Ed è buona, fondamentalmente buona, e non li ostacola per instradarli nelle sue scelte. Li lascia liberi e amati, in modo bellissimo.

(oggi chiamo mia madre, diamine).

 


Non posso dire molto altro senza rovinare la lettura, che è una lettura davvero da non rovinare. È uno di quei libri che sono carezza, solletico, gita al mare, riposo sulla sabbia, ghiacciolo alla mente. Una lettura che “ogni tanto ci vuole”. Mi ha fatto pensare moltissimo a La pètite di Michèle Halberstad e a Una bambina da non frequentare di Irmgard Keun, entrambi adorati profondamente. Ho passato i trenta, ma ancora vado pazza per i racconti di bambine che ce la mettono tutta per non crescere, che scoprono fin da piccole che l’età adulta, soprattutto per le donne, è una fregatura pazzesca da evitare con ogni mezzo.

Ci pensavo, ieri. Credo che lo chiederò ai miei amici in questi giorni: la paura di crescere, il ribrezzo per l’età adulta e tutto quello che comporta, sono cose che perseguitano anche i maschi? Me lo chiedo perché lo leggo spesso, di ragazzine che vorrebbero poter interrompere a comando la pubertà. Lo stesso valeva per Pectrude, in Dizionario dei nomi propri. Non mi viene in mente un’occorrenza al maschile, ma può anche darsi che dipenda da una sorta di pudore a parlarne, a prendere in considerazione il senso di disagio e a proporne una soluzione semplice come “Non voglio davvero crescere, fermate tutto!”.