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Della Howard ho
chiacchierato parecchio. C’è stata la saga dei Cazalet, c’è
stato Il lungo sguardo, c’è stato All’ombra di Julius.
E ora Cambio di rotta, tradotto da Manuela Francescon, e mi
chiedo quanto sia ampia la bibliografia dell’autrice, la lista
degli inediti che si assottiglia ad ogni pubblicazione, e io senza la
prospettiva di un suo libro in uscita che faccio?
Cambio di rotta,
ad ogni modo, è un romanzo atipico, per la Howard. È più semplice,
i personaggi sono tormentati ma più stabili, – questo
probabilmente dipende anche dal fatto che si trovano invischiati
ognuno in una propria routine da cui non trovano una via di uscita,
al punto che neanche la cercano – e le loro meschinità meno
drammatiche. Almeno credo, o così mi è sembrato di leggerlo. Il
lungo sguardo e All’ombra di Julius, soprattutto, sono
romanzi in cui una stilettata segue l’altra, e l’intensità non
scende mai sotto un certo limite. Qui l’intensità è sostituita da
una quieta rassegnazione, da una calma compita sotto la quale si
annidano le braci.
La trama, vediamo.
Ci troviamo nel secondo dopo guerra, a New York. Il celebre autore
teatrale Emmanuel Joyce, sessantunenne, sta cercando di scrivere una
nuova commedia che proprio non gli riesce, combatte con l’evidenza
della propria età , si trova la segretaria-amante esanime nella vasca
dopo un tentato suicidio, e vive perlopiù a stretto contatto con la
moglie Lillian e l’assistente Jimmy. Lillian è cagionevole da far
male, la stanchezza la porta ad attacchi terribili e pericolosi che
le affaticano il cuore, non riesce a riprendersi dalla morte della
figlia Sarah avvenuta quindici anni prima e convive con la
consapevolezza delle continue infedeltà del marito. Jimmy è
attento, meticoloso, vuole un gran bene a Emmanuel che l’ha salvato
da una vita di stenti in orfanotrofio, le sue ambizioni sono tutte in
funzione del benessere di Em. In questo strano menage, Lillian cerca
di attrarre a sé Emmanuel, Emmanuel cerca di porle di fronte una
strada spianata e serena, – senza riuscirci, ovviamente – e Jimmy
lo affianca in siffatta missione, perché dalla tranquillità di
Lillian dipende quella di Emmanuel.
Capita che arrivi la
nuova segretaria, giovane e graziosa, ricolma di un sacco di qualità .
L’amica perfetta, saggia e allegra, dallo sguardo puro, quella
purezza che pulisce gli aspetti contaminati del mondo, che invita chi
le sta intorno a diventare splendente. Cela il proprio nome, lo
stesso della figlia defunta di Emmanuel e Lillian, e si unisce a
loro. La vita a stretto contatto con lo strano terzetto finisce per
cambiarne le dinamiche, anche se dapprima impercettibilmente. Ognuno
cambia, a suo modo, ognuno cresce per quello che può. E la trama si
sviluppa, la storia va avanti, eccetera.
Posso essere
sincera?, i personaggi come Emmanuel un po’ mi hanno stancata, e
credo che Elizabeth Jane Howard sotto sotto fosse d’accordo con me.
Artisti tormentati, schiavi dei propri vizi, “oddio sto
invecchiando, che ne sarà di me?” i dannati della domenica, quelli
che stanno sempre in bilico ma il grande salto non ci pensano neanche
a farlo. Emmanuel ha un grande peso nella storia, ma mi sembra così
secondario. Non è cattivo, questo no, ma la debolezza lo rende
meschino. Ho adorato Lillian, il contrasto tra il modo in cui viene
vista e vissuta, quello che pensa di volere e quello che vorrebbe. È
a pezzi, e risulta viziata. Le sue esigenze sembrano capricci, eppure
sono capricci che intrappolano anche lei. È un personaggio
interessante, e ho apprezzato molto lo spazio e lo sviluppo che le ha
accordato l’autrice. Di Jimmy non c’è molto da dire, è tutto
nero su bianco, non ci sono livelli nascosti. Sarah-Augusta, ecco,
anche lei è un gran bel personaggio. Semplice e allegra, adora suo
padre, si tiene sempre in contatto con lo zio e la famiglia, cerca di
stare vicino a Lillian, dice quello che pensa, legge Middlemarch
e poi Villette, fa paragoni tra suo padre e Mr. Woodhouse di
Emma. Il fatto che diventi quasi immediatamente un faro di
virtù per chiunque le stia intorno dà il via a riflessioni su
quello che voglia dire avere un'etica, sul concetto di purezza, sulle
altrui aspettative e come riverberano sugli individui. Non che
Sarah-Augusta faccia granché caso a tutte queste cose, anzi.
Sarah-augusta è e basta, senza filtri né finzioni. E devo ammettere
che, più che ispirarmi fiducia e affetto, mi fa rabbrividire un po'.
È un bel romanzo,
ma manca dell'intensità tipica della Howard; lo consiglio –
ovviamente – ma aggiungo che, volendo conoscere l'autrice, sarebbe
meglio iniziare con qualunque altro titolo tra quelli usciti finora.
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