Questo libro
sono andata a ritirarlo direttamente dalle mani dell'ufficio stampa
di CasaSirio, una donzella assai cortese che non lavora poi lontano
da casa mia. L'ho iniziato quasi subito e l'ho abbandonato
altrettanto presto. Non che avessi problemi col libro in sé, anzi.
Nello stesso periodo ho messo in pausa quasi tutte le mie letture,
che mi aveva colpito un leggero blocco del lettore, sconfitto giusto
ieri con un colpo di reni, - ovvero una gitarella in biblioteca. Ho
preso così tanta roba che difficilmente riuscirò a smaltirla prima
che finisca l'estate, e la mia schiena ancora ne risente.
Dunque,
Grande madre acqua di Zivko Cingo, edito da CasaSirio –
entusiasticamente intervistata qui – nella traduzione di Carolina
Crespi e Jessica Puliero.
Zivko Cingo
è nato in Macedonia nel 1935 ed è morto nel 1987; io della
Macedonia non sapevo granché, lo ammetto. Non avrei neanche saputo
come indirizzarmi su una cartina geografica oltre un generico “est”.
E invece la Macedonia ha una sua storia infame e particolare, fatta
di dittature e orfani rinchiusi in edifici pericolanti, tenuti in
riga da un personale da far venire i brividi. Grande madre acqua
risale al 1971, e racconta della situazione non proprio rosea della
Macedonia post-guerra, quando si chiamava Repubblica Socialista della
Macedonia e stava stretta nella morsa jugoslava sotto Tito.
Il narratore
è Lem, un ragazzino che decide di lasciare la famiglia dello zio,
troppo povera per poter mantenere anche lui, e si reca di sua sponte
all'orfanotrofio della zona, chiamato Chiarezza.
È un luogo lugubre, orribile, ricavato da un manicomio. È abitato
da bambini che sembrano fantasmi, che non sanno cosa fare delle
proprie giornate e da pochissimi adulti a dirigere le loro vite. Il
Piccolo Padre, la Compagna Olivera, il Campanaro, - un folle, ultimo
rimasuglio dell'ex-manicomio. Adulti abbruttiti dal proprio
fallimento e dal fallimento del socialismo, una sfilza di incarichi
improbabili e punizioni che si tuffano nella tortura.
Il
narratore, come dicevo, è Lem, e qui si vede lo sforzo di Cingo; Lem
parla con l'ingenua intensità dell'infanzia, si ripete, salta di
palo in frasca, è l'anti-sistema narrativo. La sua vita
nell'orfanotrofio scorre in funzione di Keiten, un ragazzino più o
meno della sua stessa età, un caso problematico che gli hanno
affibbiato e che lui all'inizio non vede che come una gatta da
pelare. Ma presto si ricrede, perché Keiten, brutto e strano com'è,
ha quella luce negli occhi che lo cattura, e cattura chiunque sia
alla ricerca di una via di fuga.
La Grande
madre acqua è la promessa di Keiten; è la libertà, è un panorama
che si stende oltre l'altissimo muro che circonda l'orfanotrofio, una
distesa limpida e accogliente di cui Lem riesce a sentire il
richiamo. E ci crede lui, ci crede Keiten, ci crediamo anche noi, ma
solo in parte, perché sappiamo che per Lem la Grande madre era vera,
ma era anche una favola che si raccontava per non soccombere.
La scrittura
di Cingo è pregna, piena. Bella anche quando si fa complessa, -
giusto ieri leggevo una frase di Nabokov, sul fatto che al lettore
non fa poi male rileggere una frase complicata. Ecco, sono d'accordo.
(anche se
Nabokov non l'ho ancora letto, avevo iniziato Lolita ma l'ho piantato
a meno di un terzo perché non mi faceva dormire; io nella testa di
Humbert non ci entro manco con le pattine).
Sono
arrivata alla fine di Grande madre acqua senza accorgermene, ho
girato l'ultima pagina aspettandomi ancora qualche riga.
Mi ha
lasciato con una voglia inesprimibile di andare al mare.
Lo vedi da
te che tutto questo è terribile, orrendo! Lem, non devi pensarci,
sono solo fantasie. Inutili, avvelenate, mortali. Senza senso né
fine.