Poison Fairies - La guerra dei Moryan di Luca Tarenzi - Piccolo Popolo e tanta violenza nella discarica
Questa
potrebbe rivelarsi, in corso di scrittura, una recensione di quelle
imbarazzanti per eccesso di gradimento rapportato alla conoscenza
dell'autore. L'ho conosciuto in concomitanza come persona –
splendida – e come scrittore – se potessi inserire emoticon nel
post (magari posso, ma sono troppo anziana dentro per decifrare il
come) sarebbe una pioggia di stelline. Luca Tarenzi si trovava in
quel del Lucca Comics diversi anni fa, insieme ad Aislinn e a
Francesco Dimitri. Parlavano delle evoluzioni del fantasy
contemporaneo, e la chiacchierata mi ha convinta così tanto che a
fine incontro li ho seguiti fino allo stand che vendeva i loro libri
e ho fatto incetta. Di Tarenzi ho divorato Quando il diavolo ti
accarezza, Il sentiero di legno e sangue, God Breaker.
Il primo volume di Poison Fairies l'ho perfino letto in
digitale e mi era piaciuto un sacco, ma la mia incompatibilità di
fondo con l'ebook mi ha convinta ad abbandonare la lettura e ad
attendere la pubblicazione in cartaceo. Ho aspettato qualche anno e Acheron Books ha fatto uscire l'intera trilogia in un unico volume – che ho abbrancato
senza ritegno all'ultimo Salone del Libro.
Dunque,
Poison Fairies – La guerra dei Moryan è un fantasy che non
riesco a definire urban, perché la sua ambientazione è sì
contemporanea, ma di urbano non vediamo niente. La storia inizia e si
conclude nella discarica in cui il piccolo popolo vive segregato da
tempi immemorabili, un microuniverso che interagisce poco e nulla col
mondo esterno degli umani – raramente avvistati, temuti come
giganti, visto che un moryan è grande quanto un dito del più minuto
dei sapiens sapiens. Fantasy in ambientazione ostile, fantasy di
trincea, mi verrebbe da definirlo, più che urban fantasy. Ma che
importa?
La
discarica è abitata da diverse razze di Moryan. Cruna, Disgelo e
Verderame – i tre protagonisti – sono Goblin; in un laghetto
chimico ci sono le sirene; i Boggart, grossi e incapaci con la magia,
non fosse che per l'anziano leader Argiope, sono i nemici giurati dei
Goblin; altre razze compaiono meno – i Silfi, i Bwca, altre strane
manifestazioni del piccolo popolo ognuna con le sue strane
caratteristiche.
C'è
un aspetto che ho adorato e che mi preme sottolineare, che si
presenta coerentemente nell'opera omnia di Tarenzi: la
reinterpretazione, o forse sarebbe meglio dire l'adattamento, di
leggende e mitologie antiche alla luce dell'interazione con l'uomo.
Presupponendo l'esistenza dei fatati – o di creature eterne –
dobbiamo presumere che cambino col tempo, che le nostre infinite
rivoluzioni tocchino anche loro. I Moryan di Poison Fairies
sono cambiati col passare dei decenni, con l'avanzare
dell'urbanizzazione e la scomparsa delle foreste. Sintetizzano veleni
partendo dalle sostanze chimiche che trovano nella discarica,
studiano ed evolvono il proprio Glamour a seconda delle necessità,
sfruttano i rifiuti perché diventino strumenti. Già da un po' di
tempo mi interrogo sui nuovi paradigmi della letteratura fantastica;
se prima era il mondo fatato a piombare nell'umana quotidianità, ora
ci divertiamo a pensare a come la nostra umanità trabocchi nel mondo
fatato cambiandolo irrimediabilmente.
(che
vi devo dire, ho un debole debolissimo per le rielaborazioni ben
fatte).
Dunque,
la trama. E di questo punto si può chiacchierare brevemente; nella
discarica, le cose per i Goblin vanno male. Si avvicina l'inverno, le
provviste scarseggiano. Il Re dei Goblin, Albedo – fratello
maggiore di Cruna – si trova a fronteggiare le conseguenze delle
pessime decisioni del padre che lo ha preceduto. Cruna, Disgelo e
Verderame trovano una batteria gonfia di acido abbandonata in
territorio Boggart, e intendono recuperarla. Il primo libro inizia
così: con una scalcagnata missione di recupero che si trasforma in
tragedia, l'innesco di una situazione che già da anni aspettava il
momento giusto per trascendere. Seguono morti, processi, ancora
morti, fughe, morti. Un sacco di morti. Mentre leggevo mi interrogavo
su un calcolo di decessi per pagina, credo che il rapporto sia
intorno a 0,5 a 1. Che non è poco.
I
personaggi si fanno voler bene fin
da subito, ognuno a suo modo impenitente testa di minchia. È bello quando a ognuno è concesso lo spazio di un punto
di vista dignitosamente spiegato; passi per Cruna, Verderame e
Disgelo, giovani e ribelli, è ovvio che facciamo il tifo per loro.
Ma lo stesso spazio è dato anche ad Albedo, al Re dei Boggart
Argiope, al braccio destro di Albedo, l'implacabile Livido. E sono a
tratti commoventi le imprevedibili connessioni tra l'uno e l'altro.
Un'altra nota di merito sono le descrizioni dinamiche e dettagliate
dei combattimenti – che sono tanti, veramente tanti.
Questa
recensione rischia di apparire come una fastidiosa sviolinata, me ne
rendo conto. Ma Poison Fairies mi è piaciuto un sacco. Le sue
500 e passa pagine me le sono divorate in due giorni. Trattenere
l'entusiasmo avrebbe un che di posticcio, simulare una serietà che
non mi compete darebbe un'aria farlocca alla recensione – se così
vogliamo chiamarla – e al blog tutto.
(che
poi nessuno mi ha ancora rinfacciato alcunché, la mia coda di paglia
potrebbe alimentare mille roghi).