Quando leggo qualcosa dei Wu Ming – o un romanzo
storico in generale – evito sempre di andare a controllare nomi,
date e accadimenti salienti. Sayonara, Wikipedia, ci rivediamo a
lettura finita per dare un'occhiata alle ultime incertezze, com'è
finita davvero e per chi, – anche se non è sempre la strada
indolore, a volte la narrazione ti regala un lieto fine, un
sopravvissuto fortunato e tu con infame pignoleria devi andare per
forza a gettare nelle fiamme tanta gentilezza, a scoprire sotto la
pagina morti e massacri.
Ma dunque, andiamo con ordine, – sì, come no.
Ho appena terminato la lettura di Proletkult, ultima
fatica dei Wu Ming. Avevo adorato Q, Altai, L'armata dei sonnambuli,
54, L'invisibile ovunque. Non sono un collettivo particolarmente
prolifico, ma qualcosa ogni pochi anni esce, e io di rado mi lascio
attendere da quel qualcosa.
Proletkult sta per Proletarskaya Kultura,
un'organizzazione fondata in Russia nel 1917 per promuovere la
nascita di una cultura veramente operaia, fatta e pensata dai
lavoratori, e non inculcata loro da una borghesia intellettuale
illuminata. Tra i fondatori abbiamo Alexandr Malinovskij, meglio noto
come Bogdanov, filosofo marxista e scrittore di fantascienza. Le sue
teorie sul monismo empirista lo portano alla rottura con Lenin, che
un tempo poteva davvero chiamare compagno, e a una complicazione nei
rapporti col Partito. Nel 1906 pubblica Stella rossa, un'opera
visionaria in cui un uomo visita Marte, e ne racconta le meraviglie
tecnologiche e sociali. Marte è un pianeta veramente rosso, la sua
società è evoluta in un tutto armonico e anti-classista. Nel
romanzo di Bogdanov Marte è illuminato, operaio, comunista.
E fin qui è tutto vero, i Wu Ming non si sono inventati
nulla.
Nel 1927 Bogdanov e la moglie Natal'ja gestiscono una
clinica in cui vengono praticati cicli di trasfusioni sanguigne tra
pazienti, in modo che ognuno possa beneficiare delle caratteristiche
plasmatiche dell'altro. C'è un sottofondo di comunitarismo nella
filosofia di tanta pratica, ma soprassediamo.
Denni intanto arriva alla clinica di Bogdanov. È
un'orfana, a suo dire mezza aliena – non di Marte, ma di Nacuun –
e sta cercando il padre, Leonid Voloch, anche lui ex-rivoluzionario.
Non ha più di vent'anni, ha perso la madre che era ancora una
bambina, ha la pelle diafana e troppo bianca per quella di un umano.
Bogdanov la sottopone a qualche test e scopre quella che potrebbe
essere una malattia del sangue latente, ma non ha mai visto prima
niente del genere e, da medico, vuole studiarla. Le promette di
aiutarla a cercare Leo, il padre, che pare essersi volatilizzato.
E così via.
Tra storia, sangue, alieni e comunismo.
Come sempre i Wu Ming prendono l'uomo e ce ne mostrano
le falle; e sappiamo che non sono falle di tutti, ma falle di molti.
O forse sono falle di tutti, solo che alcuni riescono a non cascarci
dentro – ma questo cosa dice di loro? Che sono migliori o che sono
troppo gonfi d'orgoglio per lasciarsi andare all'ambizione, e a quel
punto cos'è meglio?
Ognuno ha la sua risposta, immagino. Io la mia me la
tengo.