Di questo romanzo avrei dovuto parlare settimane fa, a
lettura appena terminata, con le parole ancora tiepide sulle dita e
l'entusiasmo a mille, quell'entusiasmo del lettore che ha appena
scoperto qualcosa di bello. Se ci ho messo così tanto è per una
questione di tempo, impegni e casualità. C'è anche di mezzo il
fatto che mi è stato mandato dalla casa editrice, (grazie Fazi, ti
voglio bene) e come politica personale preferisco non pubblicare più recensioni di fila di libri ricevuti da terzi. Soffro di quella
che viene comunemente chiamata “coda di paglia”, e del timore di
diventare un blog-vetrina, di quelli che parlano solo di quello che
ricevono, ne scrivono solo bene e ricevono vagonate di libri proprio
per questo. Avendo neanche troppo recentemente chiacchierato di altri
titoli ricevuti da Fazi – Elmet e Cambio di rotta –
vorrei riuscire a piazzare almeno un paio di letture “autonome”
di mezzo, ma di quelle che ho fatto non mi va granché di
chiacchierare, o ne ho già chiacchierato altrove, e non sono ancora
arrivata a metà di Ada o ardore di Nabokov, che mi sta
piacendo un sacco ma è pure un discreto mattonazzo. Quindi per
questa volta, con buona pace delle mie personali politiche interne, chiacchiero per due volte di fila di romanzi ricevuti
a'ggratis.
(Non so perché mi dilunghi su politiche interne, etica
personale e quant'altro, non ho mai ricevuto la minima lamentela ma
ehi, come dicevo, coda di paglia).
Parliamo dunque di Lune di miele di Chuck Kinder,
tradotto da Giovanna Scocchera. Nota particolarmente interessante: a
Chuck Kinder si è ispirato Michael Chabon per il protagonista di
Wonder Boys, e a sua volta Kinder si è ispirato a Raymond
Carver per il personaggio di Ralph Crawford. Le coincidenze.
Lune di miele
parla di due scrittori e delle loro famiglie. Entrambi letterati,
professori universitari, le schiene chine sui loro romanzi o
racconti. Siamo nella California degli anni '70, i nostri due sono
sposati, hanno famiglia, tengono corsi di scrittura creativa. E nel
frattempo inseguono quell'immagine di scrittore squinternato e
maledetto, schiavo di qualsiasi vizio mai inventato dall'uomo, dal
sesso agli acidi, dall'alcol alle fughe in auto. Ralph Crawford avrà
una quarantina d'anni, è sposato con Alice Ann, la sua bellissima
fidanzatina dai tempi delle superiori. Insieme hanno due figli
adolescenti che lui detesta platealmente perché gli finiscono la
vodka e gli sgraffignano le riserve d'erba, e intanto Alice Ann vorrebbe
credere che sia possibile ricostruire la famiglia, lei e le sue
improbabili tendenze new age, i suoi scatti d'ira e la sua
commovente, inaspettata lucidità. Poi c'è Jim Stark, e qui pare che
Chuck si sia ispirato a se stesso nella costruzione di questo
personaggio così complesso; Jim è più giovane di Ralph, è un
omone grosso di quelli che ti sale il rispetto appena li incroci, e
magari ti possono portare via la spalla se per caso li scontri per
strada, e non ti aspetteresti di sentirgli declamare versi e racconti
e arrovellamenti sulla scrittura. Anche lui gonfio di erba, acidi,
alcol e chi più ne ha, più ne metta; con Ralph ha in corso una
specie di bizzarro sodalizio, un rimpallamento di “io credo che tu
sia quello che dimostri di essere” che pare estremamente importante
per l'idea che ognuno dei due ha di se stesso. È un legame strano,
fatto un po' di droghe, un sacco di compagnia e di uscite smargiasse,
e da una fiducia costantemente tradita, forse abitudinaria. Tutto
condito col peso della scrittura vissuta come missione assoluta e
stereotipi duri a morire.
Eppure, sapete cosa mi è rimasto, soprattutto? E lo so
che suonerà assurdo e un po' si ricollega a Elmet, di cui
chiacchieravo qualche giorno fa. Mi ha affascinata moltissimo la
famiglia di Ralph, il suo legame con Alice Ann, quella bolla strana,
disordinata e disfunzionale che torna a riproporsi come la peperonata
la domenica pomeriggio. I tentativi di fuga di Ralph e di Jim da un
contesto malato che vengono stroncati sul nascere, perché non si
scappa da se stessi, e l'amore non salva, né può salvare la
letteratura. E ho voluto bene ad Alice Ann, al suo cercare di dare un
senso alla sua vita con Ralph, alla sua ragionevolezza e alla sua
assurdità.
È un romanzo dinamico, a tratti allegro, spesso
squallido e scanzonato. Scorre, fila, vive proprio. Se Fazi
volesse portare in Italia il resto della produzione dell'amico Chuck,
ecco, io ne sarei parecchio contenta.