Cambio di rotta di Elizabeth Jane Howard


Questo libro è uscito il 5 settembre e io avrei dovuto leggerlo in anteprima; peccato che abbia passato buona parte dell’estate a fare avanti e indietro tra casa e casa di mia madre, senza riuscire a incrociarmi col pacco fino a pochi giorni fa. Appena l’ho visto sul letto, ho messo da parte qualsiasi altra lettura – scusa, Nabokov, non te la prendere – per iniziarlo senza indugio, che della scrittura di Elizabeth Jane Howard sono infatuata a livelli malsani, – direi “innamorata”, ma lì si tratterebbe di un sentimento sano, mica quest’ossessione da insonne.
Della Howard ho chiacchierato parecchio. C’è stata la saga dei Cazalet, c’è stato Il lungo sguardo, c’è stato All’ombra di Julius. E ora Cambio di rotta, tradotto da Manuela Francescon, e mi chiedo quanto sia ampia la bibliografia dell’autrice, la lista degli inediti che si assottiglia ad ogni pubblicazione, e io senza la prospettiva di un suo libro in uscita che faccio?
Cambio di rotta, ad ogni modo, è un romanzo atipico, per la Howard. È più semplice, i personaggi sono tormentati ma più stabili, – questo probabilmente dipende anche dal fatto che si trovano invischiati ognuno in una propria routine da cui non trovano una via di uscita, al punto che neanche la cercano – e le loro meschinità meno drammatiche. Almeno credo, o così mi è sembrato di leggerlo. Il lungo sguardo e All’ombra di Julius, soprattutto, sono romanzi in cui una stilettata segue l’altra, e l’intensità non scende mai sotto un certo limite. Qui l’intensità è sostituita da una quieta rassegnazione, da una calma compita sotto la quale si annidano le braci.
La trama, vediamo. Ci troviamo nel secondo dopo guerra, a New York. Il celebre autore teatrale Emmanuel Joyce, sessantunenne, sta cercando di scrivere una nuova commedia che proprio non gli riesce, combatte con l’evidenza della propria età, si trova la segretaria-amante esanime nella vasca dopo un tentato suicidio, e vive perlopiù a stretto contatto con la moglie Lillian e l’assistente Jimmy. Lillian è cagionevole da far male, la stanchezza la porta ad attacchi terribili e pericolosi che le affaticano il cuore, non riesce a riprendersi dalla morte della figlia Sarah avvenuta quindici anni prima e convive con la consapevolezza delle continue infedeltà del marito. Jimmy è attento, meticoloso, vuole un gran bene a Emmanuel che l’ha salvato da una vita di stenti in orfanotrofio, le sue ambizioni sono tutte in funzione del benessere di Em. In questo strano menage, Lillian cerca di attrarre a sé Emmanuel, Emmanuel cerca di porle di fronte una strada spianata e serena, – senza riuscirci, ovviamente – e Jimmy lo affianca in siffatta missione, perché dalla tranquillità di Lillian dipende quella di Emmanuel.
Capita che arrivi la nuova segretaria, giovane e graziosa, ricolma di un sacco di qualità. L’amica perfetta, saggia e allegra, dallo sguardo puro, quella purezza che pulisce gli aspetti contaminati del mondo, che invita chi le sta intorno a diventare splendente. Cela il proprio nome, lo stesso della figlia defunta di Emmanuel e Lillian, e si unisce a loro. La vita a stretto contatto con lo strano terzetto finisce per cambiarne le dinamiche, anche se dapprima impercettibilmente. Ognuno cambia, a suo modo, ognuno cresce per quello che può. E la trama si sviluppa, la storia va avanti, eccetera.
Posso essere sincera?, i personaggi come Emmanuel un po’ mi hanno stancata, e credo che Elizabeth Jane Howard sotto sotto fosse d’accordo con me. Artisti tormentati, schiavi dei propri vizi, “oddio sto invecchiando, che ne sarà di me?” i dannati della domenica, quelli che stanno sempre in bilico ma il grande salto non ci pensano neanche a farlo. Emmanuel ha un grande peso nella storia, ma mi sembra così secondario. Non è cattivo, questo no, ma la debolezza lo rende meschino. Ho adorato Lillian, il contrasto tra il modo in cui viene vista e vissuta, quello che pensa di volere e quello che vorrebbe. È a pezzi, e risulta viziata. Le sue esigenze sembrano capricci, eppure sono capricci che intrappolano anche lei. È un personaggio interessante, e ho apprezzato molto lo spazio e lo sviluppo che le ha accordato l’autrice. Di Jimmy non c’è molto da dire, è tutto nero su bianco, non ci sono livelli nascosti. Sarah-Augusta, ecco, anche lei è un gran bel personaggio. Semplice e allegra, adora suo padre, si tiene sempre in contatto con lo zio e la famiglia, cerca di stare vicino a Lillian, dice quello che pensa, legge Middlemarch e poi Villette, fa paragoni tra suo padre e Mr. Woodhouse di Emma. Il fatto che diventi quasi immediatamente un faro di virtù per chiunque le stia intorno dà il via a riflessioni su quello che voglia dire avere un'etica, sul concetto di purezza, sulle altrui aspettative e come riverberano sugli individui. Non che Sarah-Augusta faccia granché caso a tutte queste cose, anzi. Sarah-augusta è e basta, senza filtri né finzioni. E devo ammettere che, più che ispirarmi fiducia e affetto, mi fa rabbrividire un po'.
È un bel romanzo, ma manca dell'intensità tipica della Howard; lo consiglio – ovviamente – ma aggiungo che, volendo conoscere l'autrice, sarebbe meglio iniziare con qualunque altro titolo tra quelli usciti finora.