Esorcizzare il mostro - Due (tre?) novelle

Da che mondo è mondo, chi scrive lo fa per esorcizzarsi, che sia dai propri demoni o dai propri desideri. Non c'è niente di strano. Kafka descriveva una versione parossistica e parossisticamente crudele della società che lo terrorizzava, e devo ancora leggere un romanzo di Stephen King in cui non compaia almeno un uomo tossico e violento – mi chiedo, ogni tanto, se la paura sia nata fuori da King o dentro di lui. I vampiri ci aiutano a mediare con l'incombenza della morte, le streghe con la consapevolezza di quanto siamo minuscoli e impotenti di fronte al resto del mondo – che poi non è vero, ma è così che ci sentiamo e questo basta a renderci inermi.

Questo per dire che ho letto due (tre?) novelle parecchio diverse tra loro, ma con un punto in comune bello grosso.

Anzi, due punti in comune, se contiamo che mi sono piaciuti un sacco.

Anche tre, se consideriamo che li ho presi tutti al Salone del Libro.

Basta?

Basta.

Inizio dalla prima novella, che è quella che ho letto per ultima: L'estate in cui sono marcito di Cristiano Brignola, pubblicato da Moscabianca nella collana Cuspidi e illustrato magistralmente – anzi no, non magistralmente: è un aggettivo serioso, altisonante, adatto a tutt'altro stile, vediamo – illustrato da Guido Brualdi in uno stile fresco, fumettoso, fortemente espressivo, in certi punti grottesco. Pollicioni alzati per i colori – ecco, così va meglio.

Il protagonista è Edoardo, che fa pure da voce narrante. E inizia a raccontare dal momento in cui, mentre è chino sul lavandino del bagno, perde un dente. E lì per lì ci rimane male, perché avrà al massimo trent'anni, probabilmente meno, la piorrea è un pelo precoce. Scoprirà presto che la situazione è ben peggiore di quella che aveva immaginato: come da titolo, Edoardo sta marcendo. La storia va avanti, si dispiega da lì. E ci vuole poco perché la l'affaire Elena – Edoardo è stato lasciato di recente dalla ragazza con cui stava da un anno e tre mesi – si leghi al fulcro: Edoardo ha deciso che la colpa della sua putrefazione è Elena. Punto.

Mi chiedo quanto tempo l'autore abbia trascorso in un forum incel. Qui la metafora è chiarissima, precisa, realtà e finzioni quasi del tutto sovrapponibili. Il viaggio dentro Edoardo è frustrante, specie se si ha avuto poco a che fare con le comunità di disadattati e non si è ancora immunizzati. C'è speranza? Credo di sì. Ma cristo quanto si impegnano a cercare di togliercela.



La seconda novella è Flessibile Elastica Plastica di Luca Marinelli, uscito per Zona 42. Niente illustrazioni, a parte la cover, che come tutte le cover della collana I Nodi fa la sua gran figura.

Qui il protagonista è Lui. La sua età è incerta. All'inizio ero sicura di avere a che fare con un bambino, poi con un adolescente, e solo alla fine mi è sembrato di avere di fronte un adulto. Mi rendo conto a posteriori che non è un caso, né un errore, ma le ragioni me le tengo per me, perché è divertente scoprirle da soli.

Lui ha una sorella più grande, un cane, due genitori che lavorano e che di giorno sono fuori casa. È di giorno – giustamente – quando a casa ci sono solo Lui e la sorella, che ricevono un pacco. Aspettano il Padre e la Madre per aprirlo, che pure tentennano, perché non sono affatto certi che il pacco sia indirizzato a loro. Ma nessuno lo reclama, e alla fine lo aprono. Lo manda un'azienda che non conoscono, ed è il loro ultimo ed esclusivissimo prodotto, un segno di riconoscenza per essere tra i clienti più affezionati – non li sono, ma ormai il pacco è lì, col suo contenuto.

E il contenuto è un cubo.

Un cubo particolare, con una specifica capacità di cui non parlo, perché già sto svelando tanto. E a un certo punto, dal cubo esce una ragazza bianca, completamente nuda.

Ecco, qui è dove mi fermo.



E qui è dove spiego il primo punto in comune tra questi due racconti, che pure si ricollega al paragrafo iniziale. La mia impressione è che i due autori, Luca e Cristiano, stiano elaborando il rapporto che certi uomini hanno con le donne. Non so se si siano guardati dentro o se abbiano guardato fuori. Un po' come per King. La visione che ne emerge è umanamente spietata, e soprattutto onesta. È questo che mi fa pensare che ci sia stata, a un certo punto, un'introspezione. La figura femminile assente se non nei ricordi di Edoardo, o muta e impotente nella casa di Lui. In entrambi i casi, idealizzate come portatrici di felicità, odiate quando quella felicità vorrebbero toglierla, allontanandosi. Un oggetto del desiderio, un desiderio fortissimo che deve essere ricompensato.

Un modo di vedere le donne e vivere i rapporti con le donne che ti rende per forza un mostro, perché davanti non hai una persona, ma un oggetto, una preda. Come Alien, come Predator, come Freddy: vuoi cacciare o mangiare o divertirti e te ne freghi. Solo che di solito nella realtà non vuoi fregartene. Sono pochi quelli che vogliono essere dei mostri. Sia Luca che Cristiano offrono due modi diversi di razionalizzare la mancanza di empatia, di silenziare il senso di colpa. Man mano che le storie vanno avanti si giustificano, prima timidamente, poi con maggiore convinzione, fino a raggiungere una sorta di auto-determinazione.

Non so se sia statisticamente rilevante, il fatto che li abbia letti così, uno in coda all'altro. E a scanso di equivoci non sto affatto paventando l'idea che escano più novelle ad affrontare la tematica. È una tematica così personale che ne uscirebbero sempre visioni diverse, e difatti queste due novelle hanno pochissimo a che spartire l'una con l'altra per stile, trama, ambientazione. Mi chiedo se si siano originati in un modo simile, però. Se gli autori abbiano assistito a un momento umano particolarmente basso, se siano stati vicini a un Edoardo/Lui in azione, se abbiano provato pena nei suoi confronti, quando l'hanno visto deragliare. Oppure se abbiano conosciuto una Elena/Ragazza bianca che ha avuto abbastanza fiducia in loro da condividere la sua esperienza.

Sarebbe divertentissimo se gli autori mi scrivessero che "No, scusi signora, ha frainteso tutto, la smetta di proiettare quello che le pare nelle storie altrui, la denunziamo per disonestà intellettuale".

La terza novella ricorda molto quella di Luca. La ricorda per lo stile letterario, pacato e favoleggiante, e la ricorda come potrebbe ricordarla un riflesso distorto. Bella e Felice di Valentina Ramacciotti, edito da Eris edizioni – cover di Alessandro Ripane meravigliosa.

Avrete notato che Valentina è un nome da donna. Ci arrivo.

La storia – in terza persona e ispirata al Frankenstein di Mary Shelley – inizia al momento della Creazione di Bella. Il Dio è un tipo strano, che la forgia da pezzi di cadaveri che gli sono stati portati da Felice, le predice un'esistenza orribile e poi la manda in giro per il mondo. Non è un bel mondo. È tutto guerra e miseria, la gente è abbruttita dentro e fuori, e di ragazze ce ne sono pochissime, men che meno così belle. Abbiamo capito dove si va a parare? Abbiamo capito.

Qui ho l'impressione che Valentina abbia esorcizzato la controparte rispetto agli altri due autori. La Bella ingenua e speranzosa, la Bella innamorata, la Bella disillusa, la Bella ferita, la Bella spezzata, fino all'ultima Bella – che no, non la descrivo. È un percorso noto. E ho adorato come l'ha affrontato Valentina. Senza pietà, senza idealizzare o romanticizzare o suggerire una speranza da sgonfiare alla fine. Bella è un bel pezzo di carne ed è così che viene vista da fuori, in un mondo che ha deciso di fare a meno della gentilezza e tra una guerra e l'altra ha gettato via ogni rimasuglio di conquista sociale.

Bella e Felice è pieno di rabbia, scritto con l'odio.



Se proprio dovessi sforzarmi di trovare una chiusa a questo post, sarebbe che siamo in un'epoca editoriale piena di rielaborazioni. Con una visione chiara, una posizione implicita e razionalizzata, che – rendiamo grazie – non soverchia la storia, ma ne diventa parte integrante, fulcro e origine. Tre libri piccoli, che mi sono piaciuti un sacco. E nonostante tutto mi hanno dato speranza, non per quello che raccontano, ma perché esistono (anche perché i tempi sono bui, signora mia, qui della speranza non buttiamo via niente).

consiglio bonus: Nightbitch di Rachel Yoder. un bel romanzo sulla maternità e sulla ricerca di sé. diciamo.