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Gesù beveva birra ha prima di tutto un titolo bellissimo. È quello che mi ha agganciato per anni allo stand di La Nuova Frontiera per un sacco di Saloni del Libro consecutivi – anche se poi allo stand non facevano mai sconti, e da brava ligure finivo per dilapidare il mio patrimonio altrove.
Gesù beveva birra suggerisce una rivisitazione improbabile del profeta/terzo-angolo-del-triangolo, una bizzarria alla Il vangelo secondo Biff, alla A volte ritorno, titoli che personalmente ho proprio adorato. Dunque qualche settimana fa me lo sono prenotato in biblioteca e ho aspettato che arrivasse, e ho scoperto che con Gesù c’entrava molto poco.
Intanto l’autore è il portoghese Afonso Cruz, la traduzione è di Marta Silvetti e il romanzo è uscito in Italia nel 2014.
Di che parla?
Dunque, c’è questo paesino dell’Alantejo in cui sono riunite anime diverse e parecchio intense. C’è la grande dimora di Miss Whittemore, un’anziana che ha cercato di riunire intorno a sé una corte di intellettuali internazionali, sperando che dessero lustro al luogo e la sollazzassero cerebralmente, e invece si è accollata un santone indiano che adora mangiare e un professore di filosofia che le imbratta i muri fuori dal cancello, per protestare – per protestare che cosa? Chi può dirlo. Lui protesta. Il professor Borja. Protesta.
C’è una vecchina poverissima e vicina alla morte, Antonìa, e sua nipote Rosa che deve andare a servizio per mantenere entrambe. C’è Ari, un pastore, innamorato di Rosa. Ci sono piccole storie che si toccano e si incrociano.
C’è il fatto che la vecchia Antonìa vuole vedere Gerusalemme prima di morire. E allora arriva una questua a Miss Whittemore, perché trasformi il villaggio in una sorta di Gerusalemme. C’è un piano complicato, messo in atto con una certa cura. Ma, checché ne dicano il retro e la quarta di copertina, questo non è il centro dell’opera. È solo un evento in mezzo agli altri. E altri eventi hanno molta più importanza. I rapporti tra i personaggi, e come questi vengono vissuti differentemente. Quello è molto più importante. È un romanzo molto sudamericano, anche se anagraficamente è pienamente europeo. È leggero, leggiadro, intenso senza mai pesare. Gioca con l’assurdo senza sfociare nell’impossibile, ha una sua dolcezza precisa e straziante. Credo che sarebbe piaciuto a Puig. Sarebbe lo stesso romanzo, se non ci fosse Gerusalemme. La storia in sé sarebbe quasi intonsa.
Non lo dico per dire che quella parte sia di troppo, perché “ci sta” eccome. Ma non è il fulcro. Non è così importante.
E Gesù* se mi è piaciuto.
*pun intended
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