Due romanzi di Fabio Stassi

 Era un sacco di tempo che non leggevo Fabio Stassi. E dire che l’amore era scattato subito con L’ultimo ballo di Charlot, e si tenuto stabile con La rivincita di Casablanca, con Come un respiro interrotto. Poi sono uscita da casa di mia madre e i soldi per i libri, puff, ci dovevo magna’. Che fregatura. Mi salva il sistema bibliotecario torinese, che non è ‘sta gran cosa come organizzazione e selezione (c’ho fatto servizio civile, non avete idea), ma un po’ di libri ci arrivano. E un giorno mi è tornata voglia di rileggere Stassi e, bel bella, me ne sono accaparrata due libri, e poi un altro ancora, che era proprio quello che cercavo la prima volta e non avevo trovato – due settimane dopo me lo sono trovato esposto tra le novità e l’ho abbrancato con una furia che devo aver spaventato la bibliotecaria.

Inizio da quello, che è quello che ho finito ieri e anche quello che mi è piaciuto di più. Forse mi piace quanto L’ultimo ballo di Charlot, ma non so dirlo adesso, adesso sono ancora tutta piena dell’entusiasmo che lascia una storia ben scritta. Mastro Geppetto, uscito nel 2021 per Sellerio.



Pinocchio è forse la favola classica di cui mi è sempre importato meno. Certo, Luca Tarenzi ne ha tirato fuori Il sentiero di legno e sangue un tot di anni fa, ma toglici il weird e il sangue e a me non rimane granché. Non so perché; sarà che è una favola estremamente e volutamente morale e COLLODI CHE VUOI NON SEI MIA MADRE (anche perché mia madre non mi ha mai fatto storie manco quando rientravo alle 3 con un paio di amici ubriachi da gettare sul letto di mio fratello, quando dormiva fuori), sarà che i personaggi più interessanti erano antagonisti da tenere alla larga, non so. Però a me di Pinocchio non è mai fregato granché – tranne per un parco tematico stupendo che si trova in Toscana, consigliatissimo, almeno credo perché ci sono stata qualcosa come venticinque anni fa.

Mastro Geppetto è un’altra cosa. Prima di tutto, Stassi spoglia la storia, la pialla fino ad arrivare al nerbo, al nocciolo. Rimuove la magia. La favola. La morale. I buoni sentimenti. Resta un vecchio solo, povero, sempre più squinternato, che si fa un bambino con un pezzo di legno che gli è stato regalato per burla. Diventa la sua ragione di vita. E potrebbe essere felice, a modo suo, con quel niente che gli fa da tutto. Ma nel suo paesino ottocentesco, perso tra le montagne, la gente non ha molto da fare, e c’è chi si è proprio preso a cuore l’idea di giocare con la sua vita. Geppetto rimane intrappolato in una ragnatela di menzogne. Il suo figlioccio scompare, e lui deve trovarlo. È un’epopea rocambolesca, un viaggio strambo che si sviluppa come il romanzo per ragazzi che era Pinocchio: i capitoli sono relativamente brevi, concatenati, il titolo annuncia quello che ci si trova dentro.

E le cose, le cose vanno come vanno. Come dicevo, Stassi spoglia e pialla la storia da tutto ciò che è fantastico – no, non è vero, ci sono cose fantastiche, solo che sono fantastiche in un modo possibile, accettabilmente reale. Ma Stassi conosce anche la storia di Collodi, e la ripercorre come se dovesse ritrovare il fatto perduto da cui è generata la favola. Una rielaborazione che ho trovato pure rispettosa del classico che andava a sviscerare. Il risultato è di una dolcezza disarmante. È un romanzo che in qualche modo ti mette in mano il suo protagonista, che in qualche modo ti chiede di proteggerlo, di badare a lui. Che ti guarda e ti chiede senza accusa se ti fermeresti ad aiutare quel vecchio a ritrovare la sua marionetta.

 


Fumisteria è diverso, davvero diverso, estremamente diverso. È più breve, conciso, e senza un fiato di favola. È tutto reale, piano, in un certo senso sovraesposto. Perfino arido. Mentre in Mastro Geppetto si sogna di partire col circo, in Fumisteria non c’è altro che quello che c’è. Non ci sono speranze ulteriori, rocambolesche o meno che siano. C’è una vita che è quella, e tanto basta.

C’è un paesino in Sicilia che si chiama Portella; dove si spara ai braccianti che scioperano; dove un uomo viene rinvenuto con la faccia in una fontanella, un proiettile in corpo; e dove si cerca, e presto si trova, un colpevole. E sì, il fumo c'entra.

È un romanzo amaro. In un certo senso, il tema del romanzo è quasi in secondo piano. Non mi è facile parlarne senza dire troppo, e l’ho letto che saranno settimane; non ne dico altro, che altrimenti straparlo in un senso o nell’altro.

Comunque in biblioteca c’è pure La lettrice scomparsa, e mi sa che è venuto il suo momento.