Crocevia di punti morti di Matteo Grilli, uscito per effequ nel 2020. L’ho preso perché non ho ricevuto neanche un libro a Natale, quindi me ne sono regalati una manciata da sola. Ero indecisissima tra Crocevia e Io sarò il rovo di Francesca Matteoni, sempre effequ. Ha vinto Crocevia perché Diletta me ne ha parlato un sacco bene, e quel bene mi è rimasto in testa.
Come credevo che fosse: una storia profonda, amara, agreste, con un nonno saggio che ti parla per obliquità, ginocchia sbucciate, l’orrore che risale da chissà quale anfratto per lasciarsi sconfiggere.
Com’è effettivamente: TUTTA UN’ALTRA COSA NON AVEVO CAPITO NIENTE NON CREDO DI ESSERMI MAI SBAGLIATA TANTO SU UN LIBRO-probabilmente invece mi è capitato un sacco di volte, ahehm. Recupero il minuscolo e la punteggiatura e vedo di parlarne.
Crocevia è un viaggio doloroso, sbagliato, stridente. Nessuno di questi termini è da intendersi come letterale. Crocevia è un disagio costante, è un non essere a posto, perché hai assorbito qualcosa che non è semplicemente male, perché il male tutto sommato è semplice, è piuttosto qualcosa di inconcepibile che ti spinge più lontano di quanto tu voglia andare e non smette di condizionarti e corroderti. È non avere risposte né domande e cercare di avere una vita normale senza capire perché proprio non funzioni.
Crocevia presenta diversi personaggi principali ugualmente danneggiati: prima di tutto c’è una bestia strana, un’istanza assurda partorita dai sogni di un drago che abita sottoterra, al Pozzo, vicino al cimitero. Si fa chiamare K, ha le scaglie, puzza, parla coi morti e ruba loro i vestiti. I suoi capitoli sono fragorosi: in prima persona, poca punteggiatura, flussi di pensieri fitti di strazio e bestemmie.
Poi ci sono i tre disgraziati: Massimo, Celeste (mentre leggevo ero convinta che il nome di Celeste fosse stato pescato da un videogioco indie che mescola scalata e salute mentale) e Leonardo. L’unica cosa che hanno in comune è che sono nati e cresciuti nello stesso paesino di provincia, nel Pozzo, nelle vicinanze di un qualcosa che li ha sentiti e cambiati, un’influenza dalla quale sono tutti fuggiti alla fine delle superiori. Nessuno di loro sta bene, anche se stanno male in modo diverso: Massimo si trova come intrappolato nella sua vita, depresso e incapace di smuoversi; Celeste invece non fa che muoversi, sempre tesa tra il farsi del male e farne agli altri; Leonardo è una creatura forse ancora più enigmatica di K, che quantomeno è il sogno di un incubo, mentre Leonardo no, Leonardo è fatto di carne e sangue mortali e deperibili quanto quelli di chiunque altro, eppure è come se fosse già passato attraverso mille aldilà. È una questione di caratterizzazione, non di trama. Mettiamola così: Leonardo è il tipo di persona che, se decidi di seguirlo, anche se non avrà alcuna idea di dove o perché stia andando, ti porterà dalla parte sbagliata del mondo. Meglio di così non lo so spiegare.
A giudicare da quanto ho scritto finora, si potrebbe pensare che Crocevia sia un romanzo di lettura difficile da guadare, da “il lettore si adeguerà ai miei incomprensibili virtuosismi”. Ma gli unici punti potenzialmente un po’ ostici sono quelli in cui è K a parlare, e non hanno dato fastidio neanche a me, che il flusso di pensiero lo sopporto poco. Per il resto, i personaggi si lasciano seguire senza problemi, in capitoli ordinati in terza persona in cui fanno quello che fanno, perlopiù senza alcuna saggezza – no, non è vero, Massimo tutto sommato ci prova, a vivere una vita normale, ma c’è qualcosa che ha lasciato indietro e a una certa lo fa smattare. Non è uno spoiler: è chiaro dall’inizio che dentro di lui c’è qualcosa che non aspetta altro.
Non voglio dire altro, per non rovinarlo. È un libro strano, fieramente disturbante, in cui una manciata monca di umani imperfetti si avvicina a qualcosa di eterno e impossibile; un libro su rimpianti, rimorsi, colpe, fughe incomplete. È anche uno di quei romanzi – l’avevo detto pure per Finalmente è troppo tardi di Miki Fossati – che mi fa rallegrare della letteratura italiana contemporanea, così più libera e strafottente rispetto a trame, registri, ispirazioni. La letteratura che fa il cazzo che le pare – è una cosa bellissima.
(sì, è vero, lo so che pure Tommaso Landolfi e Michele Mari sono noti per fare esattamente quello che vogliono con la materia scritta, ma quando parlo di “letteratura” in senso generalizzato, intendo riferirmi a una tendenza, e la tendenza è stata per lungo tempo quella dei film di Muccino/Avati/Sorrentino, con qualche variazione. Anche questa è ovviamente una generalizzazione).