L'arrivo delle missive di Aliya Whiteley

L’arrivo delle missive di Aliya Whiteley l’ho preso in biblioteca un po’ prima di Halloween, e ho il sospetto che me l’abbiano scaricato dal profilo prima del tempo, visto che non sto ricevendo i meritatissimi richiami per il ritardo – credevo di averlo restituito, e invece l’ho trovato sotto una pila di libri già scrutinati. Tra poco mi laverò la faccia – che è la faccia di una persona che passa le ore di veglia a fissare lo schermo, dunque una faccia in cui il rimbambimento si riflette candidamente dalle cornee arrossate e dalle palpebre pesanti – e andrò in una sede vicina a ritirare una graphic novel poc'anzi prenotata di Zerocalcare – Scheletri, che non ho mai letto; non so se mi piacerà più di Kobane Calling o di La profezia dell’armadillo, ma sono parecchio curiosa perché ne ho letto un gran bene e dovrebbe parlare di Zero prima che fosse Zero, il che è interessantone.

Ma, si diceva, L’arrivo delle missive. Che ho letto più o meno a inizio ottobre e di cui colpevolmente non ho ancora parlato – meglio che lo faccia ora, prima che la mia memoria da organismo monocellulare ne cancelli le specifiche.

 


Uscito per Carbonio nel 2018, traduzione di Olimpia Ellero, viene presentato sul retro di copertina come una “favola distopica tra fantascienza e realismo magico”. Sono d’accordo, in buona parte. Non tanto per la fantascienza, ammetto, ma potrebbe essere anche un mio limite: perché non considero l’ambientazione fantascientifica, dunque allontano l’etichetta. Ma il romanzo – breve, 160 pagine di prosa raffinatissima, appagante – è ambientato negli anni immediatamente successivi alla Grande Guerra, in un paesino che sembra rimasto ancora più indietro nel tempo, nella campagna inglese.

La protagonista e voce narrante è una ragazza di diciassette anni innamorata del proprio professore. È un uomo giovane, poco sopra la ventina, e fragile, che si porta dietro le ferite della guerra. Shirley lo osserva e lo pensa con una dolcezza intensa che sembra ineludibile. Percorre la distanza che li separa come se fosse il destino a trascinarla. Non ha dubbi né remore. Una sera lo osserva mentre si spoglia, e vede una cicatrice stranissima che percorre il suo corpo. I due si avvicinano, legati da un segreto che è più grande di loro.

Ma L’arrivo delle missive non è una storia d’amore resa conturbante dall’elemento weird, né un breve horror – come avevo pensato quando avevo scovato il libro in biblioteca, e mi ero detta che poteva andare benissimo come lettura per Halloween – che lascia in bocca un bolo di spavento. È un’altra cosa, più sottile, ragionata. Da un lato abbiamo una prosa e una prosecuzione classiche, che ci immergono in una storia che in un certo senso già conosciamo. Un’ambientazione rurale, di campagna, in cui i compaesani si salutano e sono consapevoli delle dinamiche che li legano gli uni agli altri, che si arrendono allegri a ritualità festose. Ma a un certo punto il racconto decide che no, non ci darà quello che ci aspettiamo. Shirley si pone delle domande, dei dubbi, si muove attiva in una storia che riconosce come la sua. I ruoli si spostano, si sconvolgono, vengono ripresi e triturati nell’interpretazione della protagonista e del lettore.

 


 

Non voglio parlare troppo né della sorte di Shirley e di chi le sta intorno, né dell’elemento weird, che è complesso e interessante, ma breve da spiegare, e non voglio rovinarlo. Ha un suo peso, un suo ruolo, comporta una sfida che è sia pratica che intellettuale.

L’arrivo delle missive solleva in 160 pagine più questioni di quelle che si penserebbe, dando una scorsa alla trama per quella che è: una ragazza innamorata di un uomo più grande che nasconde un segreto. È così tanto di più, e lo è apertamente e con discrezione insieme.

Aliya, io di te non mi dimentico. Pure con la memoria a groviera.