Un mito non muore - Aspettando Solo Andata Transilvania

 Uno stesso mito può essere rielaborato in un’infinità di modi. Non ci sono leggende morte, narrazioni esaurite, eroi inattaccabili. C’è sempre una nuova prospettiva, c’è sempre altro da dire. Omero è morto nel VIII secolo a. C., ma questo non ha impedito a Joyce di prendersi il suo Ulisse per farne quello che voleva, né ai fratelli Coen di scrivere quel gran pezzo di cinema che è O Brother, where art thou?, bizzarramente ispirato all’Odissea. Il punto è che il mondo intorno agli elementi narrativi continua a cambiare. Nascono nuovi generi, l’ambientazione si evolve con l’andare avanti nel presente, gli esseri umani continuano a essere creature complesse e di sconcertante singolarità, capaci di estrapolare elementi fortemente diversi, perfino conflittuali, dal medesimo discorso e approcciarli attraverso una lente unica, inedita. Nella storia delle storie, non esiste un punto finale.

 


 

Di recente ho letto L’uovo di Barbablù, una raccolta di racconti di Margaret Atwood. La protagonista del racconto che dà il titolo all’antologia si scontra con la difficoltà di produrre un oggetto narrativo – una storia breve per un corso di scrittura creativa – che sia davvero originale partendo dalla notissima base della favola. Continua ad arrovellarsi, a passarsi in testa trame e punti di vista, bocciando quanto le pare banale, già pensato. Eppure l’autrice – quella vera, Margaret – è riuscita esattamente nel compito del suo personaggio: scrivere un racconto che rimandi alla favola, riscrivendola in un gioco di specchi meta-letterario. È una dimensione di cui mi sono accorta soltanto mentre pensavo a questo post. Buona fortuna a indovinare tutti i filtri interpretativi nei racconti di Margaret. Pure a lei ne sarà sfuggito più d’uno.

Intervista col vampiro è il romanzo per cui sarà sempre ricordata Anne Rice. La conoscete già, non ha neanche senso presentarla. Forse non tutti sanno che – Professor Barbero, esca da questa tastiera – Intervista col vampiro vanta un corposo seguito di romanzi, ognuno incentrato su un vampiro diverso, deciso a raccontare e rivivere la propria storia, spesso all’intervistatore Daniel, cui toccherà prima o poi la stessa sorte – spoiler? In tutti questi romanzi, che variano per ambientazione e che contribuiscono a una stessa, larghissima trama, i protagonisti sono esseri umani che hanno rinunciato, o a cui è stata strappata, la mortalità, e nel corso dei secoli sono costretti a fare i conti con il peso con la prospettiva dell’eternità. I più fortunati cambiano, cambiano continuamente. Periodicamente si atrofizzano, vanno in letargo. È quello che fa Lestat, quello che sbalzerà Louis dal ruolo di protagonista indiscusso delle Cronache dei Vampiri, prima di riemergere nel presente richiamato niente meno che dal rock’n’roll. Quando un vampiro ha conosciuto tutto ciò che gli preme di conoscere, si mette a dormire sottoterra, sfinito e annoiato, sapendo che prima o poi qualcosa arriverà a svegliarlo. Se sarà passato abbastanza tempo, avrà di nuovo tutto un mondo da conoscere, da riempirsi almeno un paio di secoli.

 


La figura del vampiro non nasce completa. Nella mitologia classica compaiono i suoi precursori: le lamie, le strigi, le empuse. Ma esistevano anche in India, nell’America del Sud, nei paesi dell’attuale blocco slavo. Il vampiro è un archetipo, una costante culturale, presente un po’ ovunque con qualche differenza. Un po’ come i mannari – e dico genericamente “mannari” e non “licantropi” perché non in tutte le culture ci si trasforma in lupi. In Giappone, per dire, è più facile trasformarsi in gru, in tassi o in volpi. A dargli la forma che conosciamo oggi, e che ha finito per fagocitare tutte le altre, è stato John Polidori nel 1819, ispiratosi a una poesia di Lord Byron. Un libriccino che non potrà nulla contro la sua miseria, e che propone un horror in stato embrionale, e tuttavia ne vedrà l’elemento chiave ripreso da Bram Stoker, nella forma che oggi riconosciamo più autentica.

 


Quando ho scritto il bando del Concorso Transilvania, ho invitato i partecipanti a strafare, a stupire, a proporci qualcosa di davvero originale, spaziando quanto volessero tra generi e ibridazioni. Non con queste parole: “ibridazione” è una parola che ho iniziato ad amare dopo, ma il germe era già lì. E gli autori hanno davvero saputo stupire.

Tanto per cominciare, come raccontavo la settimana scorsa, ci hanno dato dentro tra generi e sotto-generi: dall’high fantasy alla fantascienza, dal racconto politico al noir universitario. Potrei andare avanti, ma mi fermo. Anche perché a un certo punto è davvero difficile pensare a un termine che riassuma a fondo la natura di alcuni racconti – realismo magico può funzionare per una parte, ma mi sembra di forzare sia l’oggetto che la lingua. Diciamo che alcuni racconti si possono guardare come dall’alto di un calderone, annuirsi e dire che sì, sicuramente è un’originale rielaborazione del mito. E andiamo avanti 

In tutti questi racconti, non c’è una costante che non sia una prospettiva diversa – e, ovviamente, il mito transilvano, in certi punti apparentemente lontano e ribaltato, in altri storicamente preciso e narrativamente fedele. Uno degli aspetti che ho più apprezzato dei racconti non è la semplice – “semplice” si fa per dire – rielaborazione dell’elemento richiesto. È la visione dell’elemento richiesto, la prospettiva, che varia profondamente. Pur partendo dalla stessa matrice, i racconti corrono in direzioni profondamente diverse. Ed è splendido vederli allontanarsi così tanto, e sapere che per quanto viaggeranno, continueranno a esistere nuove rotte intoccate. La costante degli archetipi – degli oggetti narrativi, dei miti, delle favole – è che ritornano e ci mettono un attimo a tornare nuovi. A prescindere da quello che hanno subìto – e che in ogni caso, con buona pace di noi pignoli, costituisce una ri-narrazione legittima, perché la fantasia degli esseri umani è fatta com'è fatta e non sta a noialtri farcela andare bene.



Certo, lo sfruttamento indiscriminato della figura del vampiro che è seguito al successo di Twilight è stato un brutto colpo per l’immagine del succhiasangue immortale. Il vampiro funziona, ma non va con tutto. E se gli togli le sue prerogative, se lo spolpi del dilemma morale che costituisce il prezzo della sua esistenza, finisce per non rimanerne niente, se non un ricordo imbarazzante, l’elemento cringe nella libreria di un’adolescente. Ma la figura del vampiro non è morta. Si è solo dissolta dal mainstream per autodifesa, si è rifugiata nella nicchia del genere, lì dove evitano di strapazzarla. Sta benissimo – e bene che sì prepari, perché tra un decennio lo aspetta una nuova vita.

 

L'antologia Solo Andata Transilvania verrà pubblicata in download gratuito il 15 ottobre 2021


Romanzi e racconti sui vampiri scritti da italian*:

Il vampiro di Luigi Capuana (1904)

La saga di Black Friars di Virginia de Winter (Fazi Editore)

L’angelo e il vampiro di Luca Bonatesta (Hypnos)

L’estate segreta di Babe e Hardy di Fabio Lastrucci (Dunwich Edizioni)

La trilogia dei Vampiri vs Metallari di Aislinn (Gainsworth Publishing)


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