Gomoria di Carlo De' Medici - Orrorifiche riscoperte e grafiche meravigliose

 Qualche giorno fa ho trovato su una testata online che seguo con inusuale fiducia, un articolo che lamentava le grafiche di copertina nostrane, paragonandole a quelle più audaci e creative di altri paesi. Ora, io non ho niente contro l’autrice, ma vorrei ben prenderla per mano e portarla a visitare il magico mondo delle cover fantastigliose che mi capitano sott’occhio ogni volta che mi metto a spulciare un catalogo. Anche a voler far finta che non esista un’editoria indipendente dall’inventiva prodigiosa, ci sono cover di Einaudi in grado di rifare le chiappe a qualsivoglia Mr. Simon e Mr. Schuster a calci di stile. Qualche mese fa scrivevo questo pezzo, in cui non facevo che sbavare copiosamente su progetti grafici meravigliosi e originali; va da sé che la prima casa editrice a venirmi in mente è Cliquot.



Non credo all’adagio secondo cui “non si giudica un libro dalla copertina”; la copertina è il primo contatto col potenziale lettore, e se l’editore scazza con quella, figuriamoci tutto il resto. Un buon progetto grafico mi rassicura sul fatto che l’editore capisca quanto sia importante prendersi cura di ogni aspetto delle proprie pubblicazioni, che abbia voglia di investirci impegno e denaro perché sa come funziona il mercato editoriale – essenzialmente, un buon progetto grafico mi dice che l’editore sa quello che fa e non sta andando a caso perché “fare libri fa figo”.

Là fuori è un brutto mondo – editoriale.

Cliquot fa questa cosa bellissima che è ripescare i classici che non sono riusciti a diventare classici, le meraviglie letterarie che si sono perse in mezzo alle pieghe del tempo. È una caccia al tesoro entusiasmante, e si vede che ci credono. Se volete saperne di più, l’anno scorso ho rotto le scatole a Federico di Cliquot per Spore Rivista, e il risultato è un’intervista la trovate qui.

Mi rendo conto che a leggere fin qui sembra che stia cercando di allungare un brodo mesto, come se non avessi granché da dire del romanzo, o volessi indorare una pillola amara. Non è così: è la bibliofila dentro di me che si entusiasma quando incontra evidenti segni di bibliofilia; è l’impressione che mi dà Cliquot, di un feticismo letterario che va di pari passo col mio. Forse è così che si sentono i furry quando incontrano i loro simili – non cercate se non volete sapere.



Gomoria è il primo romanzo di Carlo H. De’ Medici, autore attivo all’inizio del ‘900. Oltre che scrittore, è stato un fervente studioso delle arti occulte, e si vede: intorno a metà del romanzo il protagonista si trova a spulciare una biblioteca esoterica e si susseguono pagine e pagine di descrizioni di testi occulti, perlopiù realmente esistiti e plausibilmente presenti della collezione dello stesso De’ Medici. Diciamo che se qualcuno volesse impegnarsi in studi esoterico-alchemici, qui potrebbe trovare un bel po’ di spunti.

Tutto inizia a Napoli, nella splendida tenuta di Gaetano Trevi. Trentenne, ricchissimo e decadente, ultimo rampollo di una nobile famiglia i cui incesti hanno condotto lo sfortunato Gaetano a una costituzione debole. Colleziona bellezza, viaggia, rifugge la noia come si rifugge la morte. Crudele, libertino, egoista come pochi e abbastanza narcisista da non farsene un cruccio – egli è meglio del mondo, e il mondo può pulirgli le suole delle scarpe.

Gaetano non è un personaggio amabile, e neanche l’autore deve avergli voluto particolarmente bene. Lo dipinge senza imbellettamenti, sottolineandone le brutture. Mi ha ricordato moltissimo il cugino Edoardo di Menzogna e Sortilegio – che parimenti avrei pigliato a calci nel nobile didietro fino a farlo risplendere che manco il naso di Rudolph la renna.

Gaetano è causa del suo male, e le sventure che si è ricamato attorno lo portano a trasferirsi in una proprietà sperduta della Maremma. Con lui una donna del suo passato, una vittima che aveva sacrificato al proprio ego e che tuttavia non sembra fargliene una colpa. Troverà qui la biblioteca occulta, esplorerà le possibilità che possono portarlo alla rovina o al trionfo.



La trama, bisogna ammetterlo, è un po’ sfilacciata. In più punti pare che il romanzo debba e voglia prendere una determinata piega, e pare poi che l’autore se ne dimentichi. Nelle pagine iniziali viene posta molta attenzione su una statua della collezione di Gaetano, e pare quasi debba prendere vita e diventare un elemento arcano centrale nella storia; e invece no, era una statua e a De’ Medici andava di chiacchierarne perché sì. Non c’è da aspettarsi colpi di scena o arguzie narrative di sorta. Non è quel genere di romanzo – e d’altronde, non credo volesse esserlo.

Gomoria è nell’atmosfera, nella perdizione, nella disperazione. Nel baratro che l’uomo si crea e in cui si getta per poi piangerne. Il diavolo dentro di noi che richiama quello fuori, in un rimpallo di dannazione. Gomoria è questo – e l’ho apprezzato un sacco.

(dimenticavo, nella prima parte c’è un sacco di erotismo con un buon tot di riferimenti bibliografici – come per la letteratura occulta, volendo se ne possono trarre un sacco di spunti).