Amore a prima vista di Margaret Storm Jameson - Attenzione: contiene lotta di classe (nonostante il titolo)
Margaret Storm Jameson
(1891-1986) è stata una giornalista e scrittrice inglese, nonché
una suffragetta e una decisa femminista. Dai suoi romanzi – i due
pubblicati finora in Italia da Fazi, Company Parade e il suo
seguito, Amore a prima vista, di cui andrei a chiacchierare
oggi – emerge una forte componente politica, una cruda
consapevolezza sulle strutture di potere che influenzano i movimenti
economici e sociali dell’Inghilterra; Margaret non lesina il
racconto personale ed emotivo dei suoi personaggi, le loro passioni e
le loro simpatie, e nel contempo li inquadra come persone all’interno
del loro status sociale, legandone insieme il vissuto e le
aspirazioni. La politica economica delle nazioni non è per lei un
fattore estraneo alle esperienze dei personaggi, che
sono quelli che sono anche perché si sono trovati in un certo periodo
storico, benedetti dal caso o schiacciati dalla miseria.
In Company Parade il
mondo si era appena lasciato alle spalle gli orrori della Grande
Guerra, e la società inglese veniva raccontata attraverso
ramificazioni di personaggi provenienti da ogni ceto sociale, ognuno
portatore di un proprio fardello umano e ideologico. All’inizio
della trilogia la protagonista, Hervey Russell si era appena
trasferita a Londra per trovare lavoro, fare carriera, avere di che
mantenere il figlioletto Richard. Attorno a lei gravitano amici e
conoscenti, ex-colleghi e editori più o meno idealisti, più o meno
puri, più o meno fortunati. Molti di loro – tra cui la stessa
Hervey, la cui scorza realista la rende troppo cinica per poterla
definire idealista – hanno una forte coscienza politica, sociale,
di classe. M.S. Jameson parla delle azioni – aperte e sotterranee –
del governo inglese in una rivisitazione che ho apprezzato soltanto
in Peaky Blinders – di cui agogno la prossima stagione. Il
mondo che racconta e le ragioni di chi lo governa hanno un sapore
economico-liberista estremamente contemporaneo, al punto che
basterebbe quello a stupire per la data di pubblicazione – i primi
anni ‘30. Concorrono lo stile raffinato e senza tempo, il perfetto
equilibrio tra il sentire dei personaggi – le loro emozioni, le
impressioni che si diffondono dentro di loro fin sulla pagina – e i
fatti nudi e crudi. La Jameson scrive splendidamente, con una
bellezza leggera che è rarissimo trovare in romanzi così pregni.
Con Amore a prima vista
mi sono letterariamente consacrata a Margaret; proprio per questo
voglio spendere due parole al di fuori del romanzo come opera in sé,
e soffermami sull’inquadramento editoriale, perché ho un serio
problema col titolo, con la cover e in generale col suo piazzamento
sul mercato.
Il titolo – che comunque in
originale era Love
in Winter, diamo
a Fazi quel che è di Fazi, non c’è stato uno stravolgimento
in questo senso – avvicina il romanzo alla narrativa
rosa; la cover, che pure è esteticamente pregevole, dà man forte.
Quello che mi disturba è il confezionamento improprio di un’opera
di altissimo valore artistico e letterario, un’opera che mi viene
da definire “universale” e che agli occhi del lettore qualunque –
e con qualunque intendo davvero qualunque, che se ci fossi passata
davanti in libreria difficilmente mi ci sarei soffermata – resta un
romanzo d’amore e nulla di più; non che i romanzi d’amore siano
tralasciabili o indegni di riflessioni profonde sulla natura umana –
anzi – ma nella trilogia di M.S. Jameson i sentimenti sono solo una
parte – importante, ma non preminente – della narrazione, l’opera
non si esaurisce nelle relazioni amorose tra i personaggi –
tutt’altro. E credo sinceramente che presentarlo al pubblico in
questo modo, tacendone una parte così significativa, sia davvero un
peccato, perché si allontanano tutti quei lettori che potrebbero
adorarla, ma non amano intrattenersi coi romanzi che ci si
aspetterebbe da titoli quali Amore a prima vista.
Amore a prima vista
de che?, che Hervey ha una lucidità impietosa e un acume a stiletto
che trapassa generi, generazioni, ideologie? Io lo voglio rivedere in
libreria con la fascetta che merita, “M.S. Jameson – contiene
lotta di classe”.
Siamo nel 1924, Hervey lavora
per la strana moglie dell’amico T.S., una donna difficile da
sopportare, più semplice da inquadrare nelle sue debolezze e nelle
sue meschinità a vario livello. Guadagna bene, vizia Richard – che
ormai ha intorno ai sette anni – e scrive con impegno e
disillusione; non ha grandi aspirazioni letterarie, né vede nella
letteratura uno strumento salvifico per parlare di sé né per
influenzare il mondo. Hervey ha rinunciato a guardare il mondo
attraverso lenti che possano renderglielo più gentile, meno fosco.
Si rapporta allo stesso modo con le persone, vedendole per quello che
sono e non per quelle che vorrebbe fossero – e questo non la rende
incapace di amare e comprendere, tutt’altro.
Hervey incontra
qualcuno, nel corso di
questo romanzo, e il titolo – immagino – si riferisce a quello.
Va da sé che una storia d’amore vissuta da Hervey basta
da sola a rendere la lettura interessante – Sally Rooney avrà
letto la Jameson? Qualcuno dovrebbe dirle di farlo, troverebbe una
sorella. Ma come
lamentavo qualche paragrafo fa, l’amore di Hervey non esaurisce le
tematiche del romanzo; è una delle tante cose che capitano e si
portano avanti nell’opera. È interessante anche per la cura che la
Jameson investe nel raccontare un’idea di mascolinità che è
uscita dilaniata dal primo conflitto mondiale, e che si riflette
nelle azioni e nei cambiamenti di altri personaggi che vi hanno preso
parte come soldati – o carne da macello, che dir si voglia.
In questo secondo romanzo
l’attenzione si sposta spesso su David Renn, che è stato collega e
amico di Hervey durante i suoi primi anni a Londra, quando lavorava
presso un’agenzia pubblicitaria. Renn che non sa curarsi di sé
quanto del prossimo, che vede il mondo con la schiettezza con cui lo
vede Hervey, ma senza la sua capacità di non lasciarsene
influenzare. Porta su di sé le ferite proprie e le ferite del mondo,
senza fare distinzione tra le une e le altre. È comunista e trova
lavoro per un grosso industriale, la coscienza di classe gli rimorde,
e non ne fa mistero all’amico Louis Earlham, appena eletto in
Parlamento col partito laburista e già immerso nella viscosità di
un contesto politico in cui la priorità è il mantenimento dello
status quo – ed è così facile cancellare la necessità di una
base etica e morale, quando lo status quo è così evidentemente
ingiusto che accettare di farsi degli scrupoli sulla vita delle
persone basterebbe a ribaltare tutto l’assetto statale.*
M.S. Jameson non si limita al
racconto dei personaggi che stanno da quella che palesemente vede
come la parte “giusta” della storia; riserva parecchio spazio al
capo di David Renn, all’uomo che ha acquistato la compagnia navale
della defunta nonna Russell, si sofferma
sulla descrizione delle truffe di industriali e finanzieri ai danni
dello stato e di risparmiatori meno accorti durante e dopo il
conflitto. E non per questo lesina le critiche al partito laburista,
alla facilità con cui chi entra in parlamento volta le spalle alla
classe lavoratrice. Ha una parola tagliente per tutti, e non ha meno
comprensione. L’impressione è che M.S. fosse abbastanza salda nei
propri principi da sapere indicare cosa fosse giusto e cosa fosse
sbagliato, e che tuttavia fosse parimenti incline a comprendere che
dietro ogni azione ributtante c’è un essere umano, e non un
mostro. Anche i potenti sono umani, e gli umani sono tutti deboli,
soprattutto quelli che temono la debolezza.**
“Meno di un mese prima,
Ridley aveva pubblicato il suo libro d’esordio. Aveva tutte le
carte in regola per essere un grande romanzo, tranne la grandezza;
tutte le meraviglie tranne la misteriosa meraviglia della
letteratura, lo stupore di una nuova nascita, l’estasi spirituale
che scaturisce tra la parola e l’idea, e deriva da entrambe e da
nessuna. Il libro aveva avuto un successo immediato e travolgente.”
Meglio non aggiungere altro a
un post che è più omelia innamorata che recensione. Consiglio
spassionatamente M.S. e auspico di vedere tutta la sua bibliografia
tradotta. Magari in una confezione più fedele al suo spirito, ecco.
*non dubito di aver
appesantito di buona misura questa recensione, a forza di svicolare
verso questioni prettamente politiche, ma glissare sarebbe fare un
torto all’autrice; la colonna sonora adeguata al romanzo varia dal
punk etico degli IDLES all’Internazionale.
**in questo periodo sto
guardando Clone Wars, all’inizio piazzano sempre delle frasi
filosofico-ispirazionali che temo mi stiano guidando alla produzione
di queste fregnacce – che comunque, benché si presentino in forma
di fregnacce, non sono del tutto da buttare.