È difficile recensire la
saggistica, e infatti è rarissimo che lo faccia. Nel corso degli
anni ho fatto qualche eccezione per chiacchierare di libri incentrati
su questioni che mi appassionano parecchio – ogni tanto la storia
della musica classica, più spesso della storia della letteratura e
del mercato editoriale. Oltre a questi pochi casi, tendo a non
parlare di saggistica perché non ne leggo mai. Almeno fino a qualche
mese fa, quando ho scoperto di riuscire ad appassionarmi alla lettura
di fatti e non solo di storie con La malinconia del mammut di Massimo Sandal, che mi ha convinta a:
1. assaltare la libreria della
mia Coinquilina in tutte le manifestazioni saggistiche che per anni
mi avevano tentata senza che mi fossi mai decisa a iniziare alcunché;
2. acquistare un po’ di
saggistica – necessario se non gratuitamente rifornita da
Coinquilina;
3. coinvolgere Coinquilina
nell’acquisto di titoli di saggistica che potessero interessare a
entrambe.
Qui presento brevemente tre
titoli pubblicati da due editori che ultimamente ho iniziato a
seguire parecchio, Edizioni Alegre e D Editore. Non è strano che
vengano accostate in questo specifico post, sicuramente
ricompariranno quando mi andrà di dedicare un altro po’ di spazio
alla bizzarra categoria dei “libri per sovvertire il reale”.
Entrambe portano avanti un progetto di promozione di ideologie nuove,
di studi sul presente che si distaccano dalla prospettiva mainstream
per decollare verso un altro modo di interpretare il mondo. La
visione di Alegre è di orientamento esplicitamente marxista, quella
di D Editore è politica in modo più sottile, nella misura in cui
ogni pubblicazione parte da un’idea filosofica del mondo che
intende ribaltare la realtà come la diamo per scontata.
Sono giunta alla conclusione
che non esista un’opera letteraria che non sia politica – perché
l’idea che l’autore ha del mondo è politica e il ritratto che fa
della realtà non può prescindere da quell’idea, più o meno
consapevolmente. I titoli che vado a presentare – prenderà più
spazio questa vuota introduzione che l’effettiva presentazione dei
suddetti titoli – partono da un dubbio, dalla volontà di svellere
i cortocircuiti interpretativi che come società tendiamo a dare per
scontati. Partendo dal momento storico in cui è nato il malinteso
interpretativo, ne ribaltano la prospettiva per sviscerarne le
conseguenze e stabilire i legami tra causa ed effetto. Insomma, nel
mezzo di una partita a scacchi dicono “Fermi tutti, quelle sono le
pedine della dama!”. E va da sé, ogni volta che parliamo di
lettura del reale e prospettiva siamo piagati dalla visione che
abbiamo del mondo; magari gli autori dei titoli non hanno sempre e
del tutto ragione, potrebbero anche non essere pedine della dama,
magari sono quelle del backgammon, ma hanno sicuramente ragione nel
dire che non sono scacchi – che cosa siano, quello bisogna
scoprirlo da sé.
Anarcoccultismo di
Erica Lagalisse

sovverte il reale: stilando la
mitologia politica dimenticata dei movimenti eversivi
anarchico-comunisti, smascherando il pretestuoso secolarismo degli
eredi politici contemporanei. La parte storica è certamente
interessante, piena di spunti e storie dimenticate; ma è
interessante anche la questione sociologica e antropologica
contemporanea sull’approccio al complotto, e il suo invito a un
approccio prospettivo meno elitario e divisivo. Prima di tutto perché
se la gente crede nei complotti, è anche perché i complotti
esistono – che poi certuni arrivino a teorizzare lucertole aliene
è sicuramente eccessivo, ma i complotti non sono una trovata
recente. Complottare è umano, com'è umano cercare spiegazioni univoche per problemi complessi. Secondariamente molta gente crede ai
complotti perché non ha fiducia nelle istituzioni o nei canali di
informazione ufficiali: e guardiamoci in faccia, possiamo dargli
torto? E dai. Pure a guardarci in casa non è che dopo Berlusconi i
media si siano improvvisamente sanificati per grazia divina. In
ultimo, tagliare corto sull’idiozia del proprio interlocutore
aprioristicamente è da stronzi elitari e cronicizza
l’estremizzazione del discorso, incasellandoci in un modello
oppositivo “noi” contro “loro” che non ci porta da nessuna
parte.
La sinistra di destra
di Mauro Vanetti

sovverte il reale: spiegando
che il concetto di piccola borghesia è un effetto ottico col quale
si rifiuta di ammettere la proletariarizzazione dei ceti medio-bassi;
analizzando poi le posizioni prese dai grandi partiti di sinistra
italiani e dai loro esponenti nell’ambito dei temi che dovrebbero
fare da fondamenta a qualsiasi movimento che voglia dichiararsi di
sinistra – la vicinanza ai lavoratori e la tutela dei loro diritti,
la regolazione dell’immigrazione, l’opposizione ai razzismi, la
tutela delle minoranze discriminate etc – che da decenni la
sinistra istituzionale ha abbandonato qualsiasi parvenza di sinistra
sposando ideologie e valori di destra. Vanetti analizza varie
manifestazioni della sinistra di destra – il sovranismo
minoritario, quella bestia ibrida di liberismo turbo-capitalista
tanto caro a Sala e ai suoi simili che davvero non riesco a spiegarmi
perché vogliano chiamarsi di sinistra – cioè lo capisco al
massimo fino agli anni dell’università per rimorchiare ai concerti
reggae ma poi basta, su, a ognuno il suo senza rancore coerentemente
coi propri valori.
La buona educazione degli
oppressi di Wolf Bukowski

sovverte il reale:
decostruendo e invalidando il concetto di degrado come indicatore di
criminalità, esplicitando la disumanità di una società basata
sull’allontanamento e la marginalizzazione dei soggetti più deboli
e l’ipocrisia con cui ci raccontiamo che il nostro paese non è
governato in maniera coerentemente bipartisan con profondo razzismo e
scatafottenza verso la specie umana in generale. Si parte dalle
politiche e dalle teorizzazioni degli anni ottanta in USA,
dall’influenza che hanno avuto sulla nostra società – la teoria
delle finestre rotte – sottolineando l’arbitrarietà con cui
vengono stabiliti i rapporti di causa ed effetto, e i risultati
penosi nascosti dalle narrazioni ufficiali. Bukowski esplicita la
fredda crudeltà di politiche che anziché aiutare i soggetti più
deboli a integrarsi nella società, mirano a renderli ancora più
disgraziati allontanandoli dai centri a protezione degli occhi
delicati della famiglia borghese, che è un po’ il sommo nucleo
privilegiato di qualsiasi partito politico; sottolinea la
pretestuosità nel voler etichettare certi comportamenti come lesivi
o pericolosi – dormire su una panchina quando non si ha dove
dormire, vedersi la sera al parchetto con gli amici per bere due
birre in compagnia etc. In sostanza Bukowski parla di quelli che ben
pensano e che mal governano – quanto vanno a braccetto le due cose,
dev’essere l’inconsistenza del legame con la realtà.
Mi fermo a tre libri, che ne
ho altri da leggere. Credo che sarà la prima puntata di una serie
disordinatamente periodica di segnalazioni sulle letture alternative
della realtà.
Che ce n’è bisogno.