La
vita bugiarda degli adulti è il primo romanzo di Elena Ferrante
dopo quel caso editoriale mastodontico che è stato – ed è ancora
– L'amica geniale. Immagino sia stato difficile per lei
scrivere qualcosa cercando di non pensare continuamente alla tetralogia, o a quello che i lettori si sarebbero aspettati – e
avrebbero cercato, e cercandolo avrebbero trovato – nel nuovo
libro. Mi viene in mente Il seggio vacante di J.K. Rowling, il
suo primo romanzo dopo Harry Potter. Un linguaggio crudo, volgare,
spietato. Era evidente che J.K. volesse emanciparsi da Harry e dalla
letteratura per ragazzi. Ma quando si scrive qualcosa che diventa
cult in così poco tempo, è più facile per l'opera emanciparsi
dall'autore che non viceversa. J.K. sarà sempre quella che ha
scritto Harry Potter, Elena Ferrante quella che ha scritto L'amica
geniale. Non so se riuscirà mai a prescinderne e un po' onestamente
mi spiace.
Su
La vita bugiarda degli adulti mi era arrivato qualche giudizio
spezzettato, che avevo raccolto senza approfondire perché i libri mi
piace leggerli senza sovrapporci filtri estranei – l'amica che mi
ha passato la sua copia mi ha subissato di pareri e ho dovuto
stopparla perché non volevo leggerlo per forza come lei l'aveva
letto. Ma se ti dicono di cercare un'interpretazione, finisci per
trovarla anche se non c'è, oppure ti sforzi e cerchi di evitarla ma
resta comunque una visione in astratto, in assenza, una negazione che
implica un'esistenza.
Quello
che voglio dire prima di tutto di La vita bugiarda degli adulti
è che: sì, mi è piaciuto un sacco; mi sarebbe piaciuto a
prescindere dalle aspettative lasciate dalla tetralogia; è molto
diverso da L'amica geniale; perché dopotutto la storia è più
piccola, è limitata a una famiglia, anzi, alla famiglia vissuta
dalla narratrice e protagonista, senza tirare troppo di mezzo
l'universo elitario degli intellettuali o la pervasività del potere
mafioso. Giovanna non è Lenuccia e non è Lila. È una ragazzina –
il romanzo si interrompe che ha appena compiuto sedici anni –
acuta, ferita e coriacea che rifiuta qualsiasi influenza prescrittiva
sul proprio futuro e sulla propria persona, che non accetta quello
che vogliono per lei i genitori e il suo contesto e il cui rifiuto
non comprende – in assenza, per contrasto – quelle stesse
influenze rovesciate. Giovanna sceglie i propri maestri nei libri,
sbanda con disperata ostinazione perché rifiuta i punti di
riferimento – eppure quelli restano un po' con lei, perché con
indesiderata onestà tiene con sé gli insegnamenti che ritiene
giusti – e coltiva per sé una dolorosa indipendenza.
Partiamo
dall'inizio; Giovanna è una bambina, frequenta le elementari con
risultati mediocri, i genitori – professori rispettabilissimi –
ne sono un po' feriti, ma tutto sommato riescono a gestire la
situazione senza troppi drammi. Parlano con lei, le assicurano tutto
il loro amore. Giovanna li ammira e li adora. Visti da fuori – e
visti da dentro coi suoi occhi da bambina – sono i genitori delle
favole, bellissimi e innamorati l'uno dell'altra quanto lo sono di
lei. Capita che Giovanna colga una frase del padre che la
destabilizza profondamente: Giovanna inizia a somigliare a Vittoria,
la sorella detestata del padre, la zia che non ha mai visto e di cui
sa soltanto che è brutta e maligna. Giovanna non si dà pace: cerca
la faccia della zia nella propria, crede di trovarla, fruga tra le
fotografie del padre. Vuole delle risposte, e alla fine, più per
caso che per ostinazione, le ottiene.
Come
essere umano – come ragazza, come studiosa – Giovanna è
stranamente coerente per il fatto di essere fedele sempre e soltanto
a se stessa. È spesso meschina, crudele, soprattutto quando si trova
nel mezzo di una tempesta emotiva e non ha idea di dove dirigere lo
sguardo. Sa che non vuole guardare verso i genitori, né verso la
zia; accetta un unico punto di riferimento intorno a metà libro –
spoiler non ne faccio, scialli – che visto dall'esterno sembra una
guida verso la persona che vorrebbe diventare, una riconferma delle
scelte che ancora non ha fatto.
Giovanna
cambia idea. Quello che le appare importantissimo un giorno, potrebbe
non significare niente la settimana dopo. Nel corso di uno stesso
pomeriggio può provare una selva di emozioni potentissime e
contrarie tra loro. Non si illude su se stessa, si vede per quello
che è e anche un po' peggio. Ma sa fin da bambina che diventare
cattiva è un'alternativa praticabile; che non smetterebbe di
esistere solo perché si è dedicata a una vita priva di buone
intenzioni. E questo la rende disperata ma libera.
La
vita bugiarda degli adulti implica una mezza bugia nel titolo;
contrassegna la menzogna come prerogativa degli adulti, quando fa
parte dell'essere umano fin da quando impara a parlare. Da adulti si
impara soltanto a perfezionare le proprie bugie, o forse a crederci –
è questo che intende la Ferrante? L'adulto è quello che riesce a
vivere nella propria menzogna?
È
un romanzo che apre un po' di questioni; la profezia che si
autoavvera, la pervasività dei rapporti famigliari e i circoli
viziosi che sembrano passare di padre in figlio come patrimonio
genetico; la negazione degli assoluti, degli infiniti; la vita come
cambiamento costante: chi non cresce e resta fermo, ostinatamente,
diventa un fantasma. C'è un sottofondo di malanimo nei confronti
della classe intellettuale, dei professori borghesi che si riempiono
la bocca di Marx e lotta di classe e intanto rinforzano le mura della
torre d'avorio parlando difficile, brandendo la correttezza del
proprio italiano contro il dialetto parlato dagli incolti.
(che
schifo la borghesia intellettuale, temo di caderci ogni volta che
dico a mia madre che è uscito un mio articolo su una rivista; mi va
di lusso che sono troppo povera per dirmi borghese).
Giovanna
è brillante e assolutamente imperfetta: non è un personaggio in cui
ci si vorrebbe riconoscere, ma ci sono personaggi in cui sarebbe
ancora più spaventoso entrare. Non credevo che ne avrei fatto un
ritratto positivo, spesso si comporta da stronza, è guidata un
opportunismo istintivo che dipende anche dalla sua solitudine – è
facile provare pena per i suoi smarrimenti, a leggerla da adulta. Se
la conoscessi, da un lato mi fiderei di lei e del suo punto di vista
crudo, dall'altro la troverei insopportabile (“Oh ma la pianti di
imporre il tuo stato d'animo a tutti i presenti? Che c'hai,
l'esclusiva del pensiero lucido sofferente?”). Giovanna è tutta una contraddizione; ed è bello, perché vuol dire che è viva.