E
dunque, Skippy muore di Paul Murray, traduzione
di Beniamino R. Ambrosi, edito da Isbn Edizioni nel
2013. Un libro bello e un libro bastardo, come tanti libri belli. Mi
ci è voluto un po' per finirlo, sia perché è una lettura che si
sente il bisogno di interrompere ogni tanto, anche solo per fissare
il muro di fronte attraverso le lacrime, sia perché sono più di 800
pagine, ognuna delle quali è una pagina rubata all'esame di
statistica. Che è il male.
Un
libro insopportabilmente bello che potremmo definire 'romanzo di
formazione', se proprio volessimo fare i saputoni. Che di norma a me
i romanzi di formazione non fanno proprio impazzire. Sono sempre
stata un po' anziana rompipalle dentro, non sopportavo gli
adolescenti neanche quando ero adolescente io. Tutti quei drammi
cavati fuori a forza dalla routine, quel disgraziato egocentrismo,
quell'idiozia ormonale che proprio... non so, anche dieci anni fa
rimanevo basita di fronte ai miei coetanei a chiedermi perché si
sforzassero così tanto di crearsi dei problemi per poi lamentarsene.
Anche all'epoca la mia risposta era 'pedate nel culo e pedalare'.
Sarei una pessima educatrice, lo so.
Dicevo,
Skippy muore. E muore subito. Il primo capitolo racconta il momento
della sua morte, il pomeriggio in cui aveva sfidato Ruprecht,
compagno di stanza e amico, a chi mangiava più ciambelle. E poi è
finito ad agonizzare sotto un tavolo, nessuno riesce a spiegarsi
perché. Tra i rantoli implora Ruprecht di dare un messaggio a una
certa Lori, e poi gli muore davanti agli occhi.
Il
resto del romanzo, a parte le ultime 150 pagine circa, sono il
pre-morte di Skippy. Ed è così che conosciamo lui, i compagni del
collegio maschile Seabrook che gli gravitano attorno. Sappiamo che fa
parte del circolo di nuoto e che l'allenatore crede fortemente in
lui. Sappiamo che il professore di storia, Howard il Codardo, si
sente responsabile per la disabilità di quello stesso allenatore. Di
Howard sappiamo molto, l'occhio dell'autore lo segue fino a casa, ci
descrive la sua vita sentimentale, i suoi conflitti, la sua
ossessione per la professoressa di geografia. Howard è un bravo
ragazzo, più o meno, un ventottenne che è finito a insegnare nella
stessa scuola in cui aveva studiato. Ci voleva, un personaggio così.
Uno dall'altra parte della barricata, un professore abbastanza
giovane e immaturo – e abbastanza poco corrotto – che possa
guardare i suoi colleghi e il preside con occhi sinceri. Nonostante
dopotutto sia un codardo.
Poi
c'è Lori, che è... Lori. Una ragazzina come ce ne sono a migliaia,
solo che è bella. E debole. E gioca a frisbee troppo vicino alla
finestra di Skippy.
E
Carl. Cristo, c'è Carl. Il classico fallimento umano in divenire,
proprio mentre diventa. L'inquietante, ferito, drogato Carl.
E
beh, c'è Ruprecht. Il geniale Ruprecht, che parla sempre di scienza
e suona il corno francese. Un tipo grasso e occhialuto che
sembrerebbe destinato a passare gli anni delle superiori nel più
completo inferno, a cui curiosamente Skippy si avvicina, facendolo
poco a poco intrufolare nel proprio gruppetto di amici.
Questi
amici, poi, sono... è un gruppetto di amici. Di quattordicenni. C'è
Dennis, l'eterno pessimista, c'è Mario che... vabé, lasciamo stare.
E poi c'è Geoff, più profondo ma sempre a punzecchiarsi con gli
altri. Sono bellissimi i momenti che passano insieme a parlare di
professori e di ragazze. Talvolta, grazie a Ruprecht, di scienza. Di
teoria delle stringhe e di M teoria, di dimensioni parallele, di
viaggi nel tempo...
E
sì. È un libro stupendo. Impegnativo non perché non scorra, ma
perché i sentimenti che scatena... ecco, diciamo che non è un libro
da esame. E che ora, per compensare, dovrò leggere qualcosa di
innocuo e innocente. La Pimpa, forse. Forse.
Va
letto. È meraviglioso. E sono un po' grata a Murray per aver fatto
morire Skippy subito, invece di farmi la sorpresona. Sarebbe stato
troppo.
Lo
consiglio senza remore. Punto.