Ad Astra - Fantasia dell'avvenire di Antonio de' Bersa


Ad Astra – fantasia dell'avvenire è un romanzo di protofantascienza con una bizzarra storia editoriale alle spalle. L'autore è Antonio de' Bersa, nato in Dalmazia nel 1827, giornalista e direttore del quotidiano asburgico L'osservatore triestino dal 1876 fino a pochi mesi prima della sua morte, avvenuta nel 1905. Sulle pagine del quotidiano trovavano spazio questioni di cronaca e di costume, nonché notizie sulle scoperte scientifiche e tecnologiche più recenti. Nel 1883 pubblicò un articolo intitolato Sulla possibilità di navigare gli spazii celesti. Studio basato sulla scoperta dell'oscillante, mezzo fisico per volare nel vacuo a firma di Francesco de Grisogono, che sollevò aspre critiche. De' Bersa se la prese a male, e difese lo studio. L'anno seguente diede inaspettatamente alle stampe la prima versione del presente romanzo, più volte rivisto e rieditato in seguito. Se noi oggi possiamo leggerlo, è stato grazie al ritrovamento di una copia nella biblioteca civica di Trieste da parte di Jacopo Berti, curatore dell'edizione.



Cos'ha di speciale Ad Astra? Tanto per cominciare, rigetta al mittente la falsa credenza secondo cui in Italia è priva di una tradizione letteraria di fantascienza e fantastico precedente a Buzzati, Calvino e Landolfi, - che peraltro di rado vengono associati a qualsivoglia genere, nossignore, qui è tutta letteratura alta, circolare gente, circolare – e lo fa seguendo una logica meccanica che forse oggi ci pare ingenua per l'assenza di motori e carburante, ma che tuttavia ha in sé del genio. De' Bersa ha fatto molto con la tecnologia che aveva, e ha dimostrato che bastano un obiettivo e un adeguato piglio fantasioso per raggiungere vette altissime anzitempo.

Secondariamente, c'è la questione dello stile. Trattasi Ad Astra della narrazione in terza persona del processo che ha portato l'uomo a calcare la superficie lunare, a distanza di poco più di cent'anni dal fatto. Lo stile, dicevo, è bello, bello in tanti sensi. È colloquiale, simpatico, eppure raffinato. Come uno zio vecchiotto che visiti dopo tanto tempo presagendo un immenso tedio, e invece appena ti vede tira fuori la fiaschetta speciale e si mette a raccontarti fatti allegri ed esilaranti, con un tono che quasi ma soltanto quasi li sveste di importanza. De' Bersa è scherzoso in modo arguto, butta una battuta paradossale e lascia che la follia dirami nella trama, cambiandola; viene da pensare “No aspetta, questa cosa non ha senso, com'è possibile?”, eppure è tutto possibilissimo, perché il paradosso non è meccanico ma politico e sociale, e siamo tuttora immersi in un mondo regolato non da logica e coerenza ma a botte di autodistruzione e bestemmie, quindi...



I personaggi. I personaggi sono pochi, ben caratterizzati e adorabili. La protagonista Giustina è allegra e simpatica e, alla bisogna, tagliente come una lama. Il suo amato ingegnere Cleanmorn è timido e impacciato, in barba al machismo di fine '800, realizzato nell'antagonista Tekhudej, piagato dai primi anni di vita trascorsi da selvaggio. Belli i comprimari, ma soprattutto meraviglioso Ovidio Cartoni, padre di Giustina, bibliotecario triestino, che ci apre le porte del romanzo in un incipit che ho sinceramente adorato.

Ma la trama, via, parliamo della trama. La trama è semplicissima: siamo intorno al 3840, sulla Terra regna la pace fin dal lontano 2700, assicurata da un'organizzazione politica mondiale, unica detentrice di un esercito internazionale. Ma iniziano a serpeggiare ansie e timori per l'avvenire: è predetto in uno studio che la popolazione del globo salirà per i prossimi anni a livelli insostenibili – da nove a diciotto miliardi di individui nel giro di diciassette anni – e non ci sarà modo di sfamare chiunque. Che fare? Le soluzioni sono chicche che non vi rovino – la mia scena preferita rimane quella – e non è nemmeno detto, dopotutto, che siano necessarie, ma l'umanità ormai vede il futuro attraverso il filtro del terrore, da qui la ricerca di disperata di speranza e salvezza, e la risposta viene per scherzo: abbiamo un satellite, usiamolo. Alla Luna!



Viene istituita una commissione di esperti provenienti da tutto il mondo per vagliare le proposte degli scienziati, perché qualcuno possa guidare l'umanità alla conquista degli astri. Ma la buona idea tarda a venire, finché Giustina, consacrata all'astronomia, non trova un antico manoscritto che descrive un certo movimento oscillante etc. E dico etc perché, va da sé, la trama della conquista si dispiega così, e non ha senso dire altro.

Ad Astra è un romanzo allegro, scanzonato, fantasioso e straordinariamente scorrevole. Mi era passato inosservato, quando Zona 42 l'ha ripubblicato un paio d'anni fa, ma quest'anno al Salone del Libro Giorgio ha visto bene di parlarmene per esteso – e me ne ha omaggiato una copia, che avevo speso i miei ultimi denari in quel del loro allegro stand. Sono sinceramente contenta della resurrezione editoriale di Ad Astra. Se Jacopo Berti non ne avesse ritrovata una copia e non ne avesse reso partecipi gli abitanti della Zona, Ad Astra sarebbe ancora sepolto in un oblio più profondo del fuori catalogo.
E sarebbe stato un tale peccato.