Quante bugie hai detto questa sera di Alessio Di Girolamo

Sarà che ho dormito poco e folleggiato di un mezzo gradino sopra l'eccesso, ma l'attacco di questa recensione mi è difficile trovarlo. Quante bugie hai detto questa sera di Alessio Di Girolamo (TerraRossa Edizioni, 2018) non è un romanzo semplice; il finale mi ha lasciato dei dubbi su quanto avevo capito, su quanto ci fosse ancora da capire e su quanto avesse capito tutto la stessa protagonista. Me l'ha passato Giovanni Turi (Mr. TerraRossa, per intenderci) al Salone del Libro, dopo avermelo presentato con tutti i crismi, - e ha fatto bene, anche se io stavo lumando senza il minimo accenno di dignità Il Pantarèi di Ezio Sinigaglia. Posso dire che Giovanni ha detto perlopiù il vero, quando mi parlava di Quante bugie hai detto questa sera, ne sono abbastanza sicura. La confusione di Anna, quantomeno, l'ho vista spesso nel vivere traballante di ragazze che mi sono illusa per un po' di conoscere, un tira e molla tra tuffo ed evitamento del baratro.



Il romanzo parte dalla fine, come fanno tanti romanzi, con una Anna riversa a perdere sangue sulla terra umida di un parco. E poi torna indietro, indietro indietro fino all'infanzia; torna a una Anna bambina che sta andando in vacanza in Liguria dalla nonna, e sta sull'autobus partito da Torino a entusiasmarsi per il viaggio e le giornate che le si prospettano, con le sue amiche dell'estate. Non potete capire l'inquietudine e la vaga sensazione di stalking letterario del leggere siffatta parte sul flixbus che da Torino mi avrebbe effettivamente portata in Liguria a trovare mia madre, ma facciamo finta di niente e non rivestiamo i libri di istanze volontarie che non gli competono. Resta il fatto che io il romanzo di Di Girolamo l'ho letto quasi tutto nel giro di un viaggio – 4-5 ore, intendiamoci, ma comunque un viaggio.

Anna racconta, in prima persona. Intervalla il flusso dei suoi ricordi legati da un filo logico divagante con interlocuzioni di istanze interiori. Il Grillo Parlante che le ricorda cosa è male, le dice Attenta, Anna, una Voce che le ricorda qualcosa che non sa ricordare. A voler stiracchiare interpretazioni psicanalitiche, potremmo affibbiare al Grillo Parlante il ruolo di controllo del Super Io, ad Anna quello dell'Io e alla Voce un'ES incontrollabile che ricerca attivamente il tracollo, ma non tiriamo troppo. Sulla pagina ripetizioni, rimandi, “Mi guardai le mani e vidi che erano piccole: con tutte le linee al posto giusto”.

Anna racconta di sé e della sua crescita contorta; la madre e le sue relazioni con una sfilza reale o immaginaria di scappatelle, la nonna che le vuole bene e Anna che non sa come rivolerle bene a sua volta, una notte con Chicca e due ragazzi in una grotta, l'abbandono esponenziale a una sessualità incontrollata, usata più per ferirsi che per effettivo divertimento. La Voce non vuole lasciare Anna, la invita a fare un uso di sé senza freni e a lasciarsi indietro ogni volta qualcosa di più. Se penso ad Anna, la vedo come una trottola bellissima e impazzita, che non sa come fermarsi ma che presto farà un buco nel pavimento e ci scivolerà dentro.



La questione del punto di vista è centrale; la voce narrante è quella di Anna, ed è difficile stabilire fino a che punto sia affidabile. Nemmeno Anna sa chi sia Anna, quindi figuriamoci quanto possiamo legittimamente fidarci, né di chi si possa davvero fidare Anna. Di sua madre, di sua nonna, di sé? Di certo non dei tizi a cui si mette in mano – anche se “mettersi in mano” può non essere il termine adatto, il romanzo copre dall'infanzia e prosegue nell'adolescenza, ma non va oltre.

Dovrei fare cenno a come Anna si getta in una sessualità scevra di misteri e romanticizzazioni fin dagli albori, dalla sera nella grotta con la Chicca a dodici anni, incontri che appaiono logori fin dal principio. Dovrei assolutamente parlarne, e aggiungere qualcosa sul suo mutare d'abito a seconda del Principe di riferimento, e dovrei dilungarmi sulla ricerca di uno scontro con la famiglia e la perdita delle catene che la tengono ancorata alla realtà. Eppure, a rivedere la sua esperienza scolastica, Anna sembra tutto fuorché una causa persa. Chi la legge e la pensa sa che non tiene mai il focus su se stessa, è una continua adesione alle aspettative sconvolte e interiorizzate di altre persone; ma Anna da piccola è studiosa, abbraccia la nonna, obbedisce alla madre. All'inizio delle superiori ha ottimi voti, si butta a capofitto nella pallavolo, si allena con diligentissimo ardore, e chi sta intorno a lei che ne sa, che lo fa per poter mettere un segnalino di possesso sul contenitore che suona a vuoto del ragazzo più bello della classe?

Anna è una figura profondamente tragica, smarrita al punto che non sai che farne per paura che scappi ancora più lontano. E non delude, in questa aspettativa. Per tutto il corso del romanzo, assistiamo ad Anna che scivola via.