Di Irmgard Keun avevo letto tempo fa Gilgi, una di noi e l'avevo adorato senza se e senza ma. Tralasciando la mera
questione grafica – che effettivamente tocco di rado su queste
lande – che da L'Orma editore non mi aspetterei giammai di essere
esteticamente delusa, in Gilgi trovavo una prosa raffinata,
un'intensità quasi violenta delle emozioni belle, una storia di
tutti i giorni e disgraziata insieme, le giornate soddisfacenti e
impegnative di una ragazza che vuole bastare a se stessa nella
Germania fiorente (e ariana) degli anni '30, un'esplosione di
sentimenti, le conseguenti macerie.
Giusto per dare un po' di contesto letterario, Irmgard
Keun è nata a Charlottenburg nel 1905 ed è morta a Colonia nel
1982. Ha studiato recitazione, lavorato come dattilografa, ha visto i
suoi romanzi finire nella lista delle letture nocive sotto il regime
nazista, è stata incarcerata, ha subìto l'esilio. Gilgi, una di
noi è stato il suo esordio, poi seguito da Doris,
la ragazza di seta artificiale e poi da Una bambina da
non frequentare. Non ha mai smesso di scrivere, ma per decenni le
sue opere sono state accolte con indifferenza da pubblico e critica,
e sono rimaste in un insopportabile oblio fino a tempi recentissimi.
Spero vivamente che L'Orma continui a scavarle fuori dalla terra una
dopo l'altra.

La bambina da non frequentare è la protagonista e
narratrice senza nome, che ci risulta adorabile quanto pestifera,
tremendamente schietta. Non so esattamente a che età i bambini
inizino a usare un filtro nelle loro interazioni con gli altri, a
sviluppare quell'empatia che impedisce di ferirli; il punto di questa
bambina è che lei non sviluppa alcunché che possa facilitarla nelle
relazioni con gli altri. A lei piace giocare, sporcarsi, provare il
brivido del proibito e dell'errore – e c'è un punto verso la fine
in cui racconta questo brivido e va oltre qualsiasi altra
rappresentazione di discolo io abbia mai letto, oltre la birichinata
del momento inizi a scorgere il punto in cui la monella diventerà
un'adulta degna di un film di Tarantino.
La struttura è la stessa di molte opere che hanno al
centro le piccole avventure di una bambina; capitoli in cui si
raccoglie tutta una vicenda, un guaio al centro, o forse un inganno,
una vendetta, gonfie di pensieri malevoli e piani machiavellici. La
protagonista odia liberamente, desidera liberamente, si contorce
all'interno di giornate che non le vanno bene e cerca di sottrarsi
alle costrizioni, senza badare granché alle coneguenze delle sue
azioni. Manca di tutto quello che dovrebbe renderla col tempo
assennata, ricorda Pippi Calzelunghe ma soprattutto Zazie – quella
di Queneau – perché si capisce che questo libro non è solo per
bambini, anche se i bambini lo adorerebbero.
La bambina frequenta la “masnada dei banditi furiosi”
– un gruppetto di amici – e confida al cinico e anziano vicino di
casa le rimostranze verso la società che la sua famiglia non
capirebbe, non prova che disprezzo per la severa zia Millie e odio
per la compagna di classe Traut Meiser. Non è incapace di affetto,
ma è priva di comprensione per le restrizioni che le persone si
auto-impongono onde vivere efficacemente come membri della società.
Una lettura leggera e divertente, da cui ci si può
aspettare un sacco di conflitti improbabili e continue sfide verso
qualsiasi forma di autorità; una narratrice che si dimena
all'interno delle proprie giornate non capisce – né spesso le
importa di capire – la portata dei danni che si trascina dietro.
"Non
voglio piangere. Gli adulti si mettono a ridere quando piango. E
quando rido non gli va bene comunque perché è segno che ho fatto
qualcosa che secondo il loro giudizio non dovevo fare. Devo imparare
a prendere la vita sul serio. Ma com'è che si fa?"