Non
so se un prolungato soggiorno a casa di mia madre possa considerarsi
una vacanza, ma è così che lo sto prendendo, e direi che le
tempistiche con cui aggiorno il blog confermano tanta disposizione
mentale. E dire che sono andata al mare soltanto due volte,
quest'anno, accidenti.
Ma
veniamo subito al libro di cui mi sono ripromessa di chiacchierare
stamattina, anche se forse avrò bisogno di un secondo caffè, – e
dire che ho dormito la bellezza di nove ore, è stato bellissimo.
Il
fiume della colpa di Wilkie Collins, speditomi da Fazi cui ormai
mi tocca dedicare un intero scaffale della libreria e tradotto da
Patrizia Parnisari.
Dopo
la riscoperta ad opera della stessa Fazi, è probabile che già
sappiate qualcosa sull'autore in questione, ma ve lo presento lo
stesso. Nato a Londra nel 1824, conosce Charles Dickens nel 1852,
quando inizia a scrivere per la sua rivista Household Worlds,
e tra i due sboccia una bellissima amicizia che durerà per la
bellezza di dieci anni. Le sue opere più celebri sono senza dubbio
La donna in bianco e La pietra di Luna, scritti
rispettivamente nel 1859 e nel 1868.
Ma
veniamo a quello che ho letto, e non a quanto mi riprometto di
leggere.
Il
fiume della colpa (The guilty river) fa parte della sua
produzione più tardiva, il che mi stupisce non poco. Un po' per la
brevità, un po' per la semplicità nella costruzione e nei caratteri
dei personaggi, avevo pensato fosse una delle sue prime opere, quelle
un po' acerbe con cui un autore inizia a mettersi alla prova prima di
cimentarsi con quelli che saranno i suoi capolavori. Con questo non
voglio dire che non si sia trattato di una lettura piacevole,
tutt'altro. Di per sé il libro scorre, gli accadimenti si susseguono
a una velocità sostenuta, non ci sono blocchi di dieci pagine
infarcite di riflessioni evitabili. Si legge in fretta, e forse lo
consiglierei come biglietto da visita dell'autore, essendo assai meno
impegnativo rispetto alle sue opere più famose, che si presentano
come ottimi mattoni di pagine.
La
storia è semplice; c'è il protagonista e narratore, Gerard Roylake,
che ritorna in Inghilterra per fare buon uso dell'eredità del padre,
un uomo freddo e crudele che l'ha presto spedito a farsi una cultura
in Germania, il più possibile lontano da sé. Gerard si trova a
dividere la casa con la moglie del defunto padre, una donna giovane e
bellissima astuta come una serpe, e non è che sia poi così
entusiasta della situazione. Presto si ricorda però di quanto gli
piacesse vagare per i suoi terreni, nella foresta adiacente alla
proprietà, lungo il fiume. E mentre vaga a caccia di falene come
faceva da bambino, si imbatte nel vecchio mulino e in una vecchia
conoscenza, la bellissima Cristel, figlia dell'affittuario del
mulino, l'avaro Giles Toller. La sera stessa fa la conoscenza anche
di un altro personaggio, ben più enigmatico e bizzarro. Si tratta di
un uomo bellissimo e misterioso, completamente sordo e costretto a
comunicare per iscritto. Ha subaffittato una stanza da Mr. Toller, ed
è ossessionato da Cristel, che di rimando lo odia, e ne è parecchio
spaventata.
Gli
ingredienti sono tutti qui: un protagonista giovane e piacente, una
fanciulla forte e d'aspetto amabile, uno sconosciuto misterioso. Si
aggiunge altro, con lo scorrere delle pagine, ma l'essenziale è già
sulla carta, e dirne di più sarebbe allungare il brodo.
Un
po' mi chiedo se il romanzo non ne avrebbe guadagnato, se Collins
avesse deciso di aggiungere qualche decina di pagine. Ci sono
situazioni e personaggi che avrebbero potuto dare di più, sia per
arricchire il contesto che per ostacolare i meccanismi di una trama
che forse fila troppo liscia. Il fiume della colpa mi è
piaciuto, e molto, ma come mi è stato riferito da altri, sento che
non è questo il capolavoro di Collins, che troverò la massima
espressione dell'autore in romanzi in cui si sia preso la libertà di
dilungarsi per un buon mezzo migliaio di pagine – almeno. Ma
immagino che qui dipenda un po' dai propri gusti, e da quanto tempo
si voglia investire nel conoscere un nuovo autore.