
In
sostanza, a me dell'Impero Romano importa poco, di base. Ma inizia a
risultarmi più che interessante nel momento in cui a scriverne è
John Williams, autore di quel capolavoro che è Stoner, e la Fazi si
offre di mandarmi una copia di Augustus – tradotto, peraltro, da
Stefano Tummolini.
Augustus
è un romanzo epistolare; è chiaro che Williams abbia pescato a
piene mani da tutta la corrispondenza e le cronache che ci sono
arrivate dell'Impero Romano, e non è facile, almeno per me, tirare
una linea netta tra la narrativizzazione del reale a l'invenzione. Ma
mi rimane tra le mani un racconto, e onestamente penso che sia
abbastanza.
Ottaviano
è il nipote diletto di Cesare Augusto, e ha solo diciannove anni
quando lo zio viene trucidato per mano di Bruto e degli altri
guasconi suoi pari. Dalla corrispondenza che Cesare Augusto e la
sorella si scambiano per accordarsi sul futuro del ragazzo, appare
chiaro quanto parta svantaggiato nella corsa per il potere. È di
salute cagionevole, è timido, fa fatica a interagire coi
commilitoni. Non ha l'aria del capo, eppure Cesare lo esige come
successore.
Come
sappiamo, è lui a spuntarla – e ci mancherebbe, è l'Imperatore –
e il romanzo di Williams è un susseguirsi delle imprese di
Ottaviano, più politiche che guerresche, viste attraverso gli occhi
dei suoi contemporanei. Amici e nemici, parenti stretti, alleati
nella battaglia per salvare Roma dal disastro, conoscenti, perfino la
sua vecchia balia.
Roma
è magnifica, Roma è un covo di serpi. Splendore e corruzione, oro e
sterco, tutto mescolato insieme. E a mostrarcela sono direttamente
coloro che l'hanno conosciuta, amata e vissuta. Williams dà voce a
Mecenate, ad Agrippa, a Marco Antonio, a Cleopatra. Tutti gli
avvenimenti importanti nella vita di Ottaviano e della capitale sono
scanditi dalle loro voci, con salti cronologici di decenni.
Non
è il romanzo più appassionante di Williams, questo va detto. Ma
d'altronde pare che l'autore abbia scelto di non dare spazio alla
passione; Roma è governata col calcolo, col sotterfugio, con
l'astuzia. Potere e passione non vanno di pari passo. È un romanzo
lento, freddo, misurato. Eppure è riuscito a farmi interessare di
uno dei periodi storici di cui, come ho già detto, mi importa meno.
Vorrà ben dire qualcosa.
Non so se lo leggerò, perché fatico anche io con l'impero romano e anche con i romanzi epistolari.
RispondiEliminaPerò capisco cosa vuoi dire quando parli di epoche storiche che non ti interessano. Ad esempio nemmeno a me piacciono gli antichi greci, né mi appassionano letture ambientate dopo il 1900 (per cui tutti i romanzi di guerra partono svantaggiati e devono essere veramente belli per interessarmi, o devono essere ambientati in Francia durante la bellé epoque).
Invece adoro quasi tutto l'ottocento di ogni paese, la rivoluzione francese e il terrore (ma non Napoleone), il medioevo, poi basta. Forse.
Mi spiace, non c'entra nulla con il tuo post.
Mi eclisso...