Quando ho iniziato a
scrivere questa recensione, ero al banco prestiti in biblioteca e approfittavo
dell’inusuale assenza di utenti al venerdì mattina. Tempo mezzora, i lettori
hanno invaso la biblioteca e mi sono dovuta fermare. Poco importa, tanto resto
al banco, a parte i momenti in cui svolgo il mio mandato come Nazista della
Vetrina dei Consigli.
(no, davvero, sono
insopportabile.)
Dunque, Umami di Laia Jufresa, edito da Sur
nella traduzione di Giulia Zavagna. L’ho
preso al Salone di Torino senza pensarci troppo, un acquisto non previsto. Non so
perché mi abbia attirato tanto, sicuramente la copertina ha fatto il suo, e
sicuramente mi ha affascinato il concetto di milpa e la vita comunitaria in un complesso residenziale in Messico. E
dire che a me, finora, la letteratura latino-americana ha sempre lasciato
freddina.
(per capire quanto mi
sia piaciuto Umami, ecco, non appena l’ho terminato sono andata a pescarmi Cent’anni
di solitudine di Gabriel Garcia Marquez.)
Questo libro è
meraviglioso; con toni leggeri affronta il profondo, parla direttamente al
nostro punto più interiore senza spiegare troppo, perché l’autrice sa che
possiamo capirla. Ha pure una struttura stranissima, che la Jufresa è riuscita
a manovrare in modo da non renderla mai di difficile comprensione. Il libro è
diviso in quattro parti, ognuna delle quali è suddivisa in capitoli dedicati a
quattro personaggi la cui narrazione si avvicenda sempre nello stesso ordine. Prima
parla Ana, una ragazzina di dodici anni; poi tocca a Marina, un’aspirante
artista ventunenne; poi è il turno di Alfonso, antropologo vedovo proprietario
del complesso; e tocca a Pina, migliore amica di Ana, e infine a Luz. A Luz,
sorella minore di Ana. Morta annegata in un laghetto quando era in vacanza
dalla nonna insieme alla famiglia. Ogni personaggio racconta in un anno
diverso, partendo dal 2004 fino a scendere al 2001.
E dunque capiamo solo
alla fine del romanzo tutto quello che è accaduto con esattezza. Il dramma
della morte di Luz, la vedovanza di Alfonso e le sue bambine, Marina che non
riesce a mangiare, Pina e il suo abbandono. Il complesso abitativo in cui è
ambientato il romanzo è come un microcosmo, e ognuno ha la sua vita e il suo
dramma, ma allo stesso tempo gli elementi sono tra loro interconnessi, perché è
così che funzionano, o dovrebbero funzionare, le persone che vivono in un
ambiente ristretto e comune.
E mi rendo conto di non
riuscire chiaramente a spiegare perché la lettura di Umami sia stata così
intensa da potersi definire importante.
Però leggetelo,
davvero. È così tanto.