Negli
ultimi anni mi capita spesso di bloccarmi. A volte è la mancanza di
tempo, a volte è l'eccesso. E poi giunge un'idea, prima come una
canzoncina, poi come un racconto che non riesci a non scrivere.
Stavolta non chiacchiero di zombie, ma di un gruppetto sparuto di
scrittori che gestiscono il rifiuto editoriale in un modo un po'
macchinoso. Non mi arrischio ad augurare “buona lettura”, mi
limito a un “buona serata”.
“Oh, voi potete fare come volete, chi vi impedisce nulla. Sto solo dicendo che io non lo voglio, uno pseudonimo.”
“Grazie
tante, il tuo nome sembra già uno pseudonimo. È perfetto, pare già
stampato su un libro. Nerone Testagrossa. Bum, Pulitzer.”
“È
un nome del cazzo, vorrei vederci te alle elementari col mio nome.
Nerone. Cazzo si erano fumati i miei.”
Sono
in quattro, seduti in cerchio sul parquet, nella sala ad accesso
limitato della biblioteca in cui vengono tenuti i documenti che, a
giudicare dalle difficoltà incontrate nel volerli consultare,
parrebbero di una qualche importanza. File di librerie gonfie di
libri e pamphlet che spargono un odore dolce di polvere e vaniglia,
una candela posta in mezzo a loro, a sprezzo del pericolo – che
comunque, viste le intenzioni, non li tange più di tanto.
Sono
in quattro, dovevano essere sette. Tre si sono tirati indietro
all'ultimo, due sorelle di venti e ventidue anni e un signore anziano
di cui Nerone ricordava solo il tanfo di formaggio stantio e il volto
stanco. Aveva l'aria di uno che soffre con orgoglio, che vorrebbe
morire ma si aggrappa caparbio all'ultima stilla di dolore. Che ci faceva lì in mezzo a
loro, con la storia della sua vita sotto braccio e il mento premuto
sul collo, a borbottare quasi con astio che voleva morire?
Mica lo costringevano, era una decisione personale.
Comunque
non era venuto, e neanche le sorelline silenziose. A Nerone piacevano
– in realtà sperava di riuscire a concludere almeno con una delle
due prima del gran finale, non tanto per l'ironia dell'affermazione
della vita al momento della morte, quanto perché sfoggiavano
entrambe una rispettabilissima quarta di reggiseno – mentre Barbara
tutto sommato era contenta che si fossero tirate indietro. Sofia e
Caterina avevano scritto una favola romantica dai toni gotici e ampollosi.
Tutto ruotava attorno a un non-morto che assisteva alla vita intera
di una ragazza fino al compimento dei diciassette anni, finiva ovviamente con l'innamorarsene e poi la
uccideva struggendosi fino all'ultima riga. Barbara non aveva
commentato, e dopotutto neanche Nerone. Non erano quelli i patti; durante l'incontro
preliminare, quando si erano conosciuti e presentati, sfoggiando la turpitudine delle loro opere rigettate, avevano messo bene in chiaro che si sarebbero risparmiati l'ultima umiliazione di un editing collettivo.
Nerone
ha trentatré anni ed esorcizza la propria calvizie sfoggiando uno
stile di vestiario scuro e aggressivo che lo avvicinerebbe al neonazismo, se non fosse per la
costellazione di spille che porta agganciate al borsello, che vanno
dalla falce e martello alla serigrafia di Che Guevara, toccando vari
livelli di musica alternativa. Ha scritto quello che vorrebbe essere
un romanzo di protesta sociale di “verismo spaziale”, ovvero la
storia di una coppia di profughi terrestri sbarcati sulla Luna, che
devono far fronte alle ristrettezze di una vita da clandestini. Non sono pochi a mostrare un sincero entusiasmo per il
soggetto di Nerone spiegato in due righe, ma l'entusiasmo si piega in
un'espressione imbarazzata dopo le prime pagine. L'originalità del
tema non può nulla contro l'allergia di Nerone per le descrizioni e
il suo eccessivo amore per le virgole, le rime e i commenti retorici
rivolti al lettore.
Barbara
ha al suo attivo tre romanzi, due dei quali conclusi quando era
ancora alle superiori. Ha ventisette anni e i capelli tinti di un
rosso innaturale tendente all'arancione. Indossa sempre scarpe da
skater che secondo la madre ortopedica le daranno un sacco di
problemi ai piedi, ma lei la sua decisione l'ha già presa da tempo,
e della sua pianta del piede se ne frega abbastanza. Delle prime
opere non ha mai parlato a nessuno dopo le scuole, ha fatto in fretta
a rendersi conto che le protagoniste erano suoi alter-ego e i tizi
che si scopavano le allegorie incommensurabilmente migliorate delle
sue cotte – infatti il loro carattere cambiava ogni volta che le
piaceva un nuovo ragazzo. Il manoscritto che si è portata dietro è
una storia a suo dire matura, straziante, sul rapporto tra due
sorelle che si ritrovano dopo tanti anni per via della leucemia di
una. Barbara è figlia unica, ha ancora entrambi i genitori e tre
nonni in discreta salute. È fortunata, il lutto l'ha lasciata finora
quasi intoccata; eppure la morte la affascina, forse più di quanto
non affascini le sorelle pettorute dal vestiario necrofilo.
Poi
c'è una coppia di scrittori che fin dall'inizio hanno deciso di
presentarsi soltanto col loro nome d'arte, “Les Voyants”. Solo
quello. Era difficile appellarsi a loro, Barbara e Nerone risolvevano
alternativamente con un “ehi”, un “sentite” o puntando verso
di loro la bottiglia di birra. Vestivano entrambi di nero, portavano
occhiali da sole quasi identici appesi allo scollo della maglia a
tinta unita, non sorridevano e a malapena parlavano. Nerone non aveva
particolare simpatia per gli editori, entità prive di volto che da
quasi dieci anni si ostinavano a cestinare le sue opere, ma riusciva
senza dubbio a capire perché volessero tenersi alla larga da quei
due che, alteri, brandivano un sacchetto di carta con dentro la loro
fatica, una cosa breve, forse nemmeno cento pagine, sottile e
consunta. Non avevano voluto svelarne il contenuto tematico né il
genere, né avevano spartito mezza parola sullo stile. La loro opera
restava senza titolo agli occhi degli altri; forse non era nemmeno
un'opera, forse il loro manoscritto era un fascio di fogli bianchi
incollati insieme, tanto per avere qualcosa da presentare. Forse
volevano presenziare al suicidio di un paio di sconosciuti, forse non
volevano morire da soli. In ogni caso, Les Voyants erano lì e
avevano portato la loro dose di sonnifero da spartirsi con gli altri.
“Dubito
che diano il Pulitzer allo scrittore col nome più evocativo.”
borbottò Nerone, stappando una bottiglia di birra.
“Che
poi non dico che Barbara mi faccia schifo, eh. Poteva andarmi peggio.
Tipo le mie cugine che le hanno chiamate Sole e Luna, fossi in loro
inizierei a drogarmi il primo giorno delle medie.”
Barbara
giocherella con un laccio delle scarpe, e mentre perde il filo del
discorso pensa che le piacerebbe se ci fossero più persone accanto a
lei in quel momento. Il cuore le batte più di quanto vorrebbe, e
sente quasi il bisogno di quella spinta tosta data dallo spirito di
emulazione, dal sapere di far parte di un gruppo deciso che sta dalla
tua parte e ti supporta. E invece niente, le tocca Nerone, che l'avrà
visto sì e no cinque volte in tutto – amico di amici di amici, chi
se l'aspettava di morirci insieme – e due squinternati vestiti da
becchini. La sua opera sarebbe rimasta legata eternamente a qualcosa
di brutto – il romanzo di Nerone – e a qualcosa di
incomprensibile – il chissà-che-cosa dei due finti francofoni. Non
era quello che avrebbe voluto per il suo libro, ma sentiva che era
tardi per tornare indietro, e comunque un'occasione così non le
sarebbe ricapitata. Per forza di cose.
“Allora,”
fa uno dei due Les Voyants, “come procediamo?”
“Beh,”
Nerone si gratta la testa liscia e accenna alle scatole sparse in
mezzo a loro, un fornito miscuglio di sonniferi eterogenei, pillole
contro il mal di mare, contro il mal d'auto, contro la gastrite,
ansiolitici vari e circa due bottiglie di vodka a testa, senza
contare le birre, che avevano già consumato in discreta quantità,
“è abbastanza semplice, no? Prima le pillole, poi l'alcol. O
viceversa, e poi ripetere. Così.”
Dà
una dimostrazione pratica scartando la scatola di sonniferi che aveva
portato, ne inghiotte una manciata e li manda giù con la vodka.
Questa rischia di fargli sputare tutto – si rimprovera di non aver
scelto qualcosa di meglio rispetto al torcibudella del discount, ma
ormai era tardi – ma poi inghiotte con forza, strappa il dosatore
da una boccetta di diazepam e ne beve metà.
“Così.”
ripete, chiedendosi quand'è che il cocktail inizierà a fare
effetto.
L'altro
Les Voyants esita e poi afferra timidamente la scatola che Nerone ha
lasciato a metà. Lentamente, trattando ogni pillola con curiosa
dolcezza, ne imita l'operato, presto seguito dall'altro Les Voyants.
“Sapete
cosa mi scoccia?”, fa Barbara, soppesando la sua prima manciata di
sonniferi.
“Cosa?”,
chiede Nerone, “A parte lo squallore della situazione, dico.”
“Quelli
che si sono tirati indietro, le Signorine Vampiro e il vecchio che
puzzava di Grana Padano,” Nerone sta per interromperla, per dirle
che anche lui aveva notato l'odore del vecchio e l'avrebbe descritto
allo stesso modo, ma decide di evitare, “ecco, loro si beccheranno
tutta la gloria del nostro gesto. Da vivi. Saranno quelli che sanno
tutto di noi e che sono scampati al massacro. Non mi tiro indietro,
badate bene, è solo che mi scoccia.”
“Già.”
sospira Nerone.
“E
poi la storia del vampiro era una schifezza.”
“A
me non dispiaceva.” sussurra un Les Voyants.
“Davvero?”
“Davvero.
Ti sorprende?”
“Un
po'. Avete un'aria molto più... come dire, letterario-sperimentale.
Non da cultori delle storielle d'amore tra vivi e morti.”
Il
Les Voyants che ha parlato alza le spalle, manda giù un sorso di
birra, probabilmente per rifarsi delle vodka, e poi continua a
parlare.
“Una
buona storia rimane una buona storia, a prescindere dal genere. Sofia
me ne ha parlato un po', la volta scorsa. Me ne ha anche letto un
pezzetto, il punto in cui il vampiro si rende conto di avere ucciso
la sua unica speranza di redenzione. L'ho trovato struggente, forse
un po' pedante ma efficace.”
“Ah.”
“A
dire il vero ho detto io a Sofia di non venire oggi, e lei deve avere
convinto sua sorella. C'è speranza, per loro. Hanno una possibilità,
anzi, più di una. Cosa c'è di più commerciale di una storia tra un
vampiro e un'umana?”
“Molte
cose, in realtà. Gli zombie. I romanzi erotici scritti male. I
vampiri al momento sono un po' una voragine editoriale, per così
dire.”, commenta Nerone. Una sua vecchia amica ha scritto una serie
di racconti brevi tutti dedicati a una stessa congrega di vampiri, e
si è lamentata spesso con lui di quante porte le siano
state sbattute in faccia. I vampiri, gli ha detto, non tirano più niente.
“Oh.”
fa il Les Voyants, con un'alzata di spalle, “beh, spero che ce la
facciano comunque.”
“È
stato gentile da parte vostra convincere Sofia a ripensarci. Voglio
dire, se pensate che il loro libro abbia una possibilità...”
inizia a dire Barbara, tuttavia un po' piccata dal fatto che nessuno
abbia cercato di convincere lei a non suicidarsi.
“Io
credo che non abbia nessuna possibilità.” replica l'altro Les
Voyants; l'altro gli lancia un'occhiataccia, ma non dice nulla e
continua a bere.
“E
insomma.” sospira Barbara, stringendosi le ginocchia.
“Comincia
a fare freddo.” sussurra Nerone.
Siamo
un collettivo di scrittori che non sono nessuno, e abbiamo noi tutti
deciso che il destino di rifiuto e oblio che ci avete inflitto finora
non ci va più bene. Quello che abbiamo scritto (le nostre opere, il
nostro sangue, la nostra vita) ve lo affidiamo come si affiderebbe un
orfano alle mani caritatevoli di una monaca. Prendetevi cura delle
nostre opere. Fatele pubblicare; sentiamo che lo meritano; se anche
non sta a noi definirli capolavori, ci sentiamo comunque di definirli
in linea con il tenore editoriale odierno. Non teneteci fuori dalle
vostre librerie. Accoglieteci sui vostri scaffali.
Siamo
morti per farci leggere.
Non
dimenticatelo, quando stilerete il nuovo piano editoriale.