Io
e Muriel Barbery non abbiamo cominciato col piede giusto; qualche
anno fa mia zia ha deciso di regalare a mio nonno L'eleganza del
riccio per il suo compleanno, e ai tempi vidi bene di trafugare
suddetto volume. Non andò bene; sono riuscita a odiare la
protagonista nel giro di poche decine di pagine, e finora non avevo
mai osato riavvicinarmi all'autrice. Il mio non è un fastidio
letterario, di caratterizzazione o costruzione. È proprio un odio a
pelle. Provo un'insopprimibile antipatia a pelle per quelli che
definisco “fiocchi di neve”, quelle persone che si sentono
speciali e incomprese, e del resto del mondo chissene. Quelle che di
indifferenza colpiscono e feriscono, per intenderci.
Dicevo,
questo era stato il mio primo incontro con Muriel Barbery, e dubitavo
che ce ne sarebbe stato un secondo, finché la e/o non mi ha proposto
di leggere la sua ultima fatica, Vita degli elfi, tradotto da Alberto Bracci Testasecca. Ringrazio molto la
casa editrice, anche se non potrò tacere alcune rimostranze –
stavolta puramente letterarie.
Questo
è un libro lirico. Una trama potenzialmente fantasy – dovrei
togliere il “potenzialmente”, ne sono conscia, eppure lo sento
così lontano dal genere che non riesco – intessuta con uno stile
da fiaba, alto, forbito, poetico. E questo mi è piaciuto molto. Non
è uno stile lirico-offuscato, anzi, è chiaro quanto bello.
Ricordavo una Barbery diametralmente opposta, semplice e diretta.
Forse mi sbaglio, non saprei dire a distanza di tanti anni.
La
trama pare complessa, ma è svelta da spiegare; nascono due bambine,
Maria e Clara, due orfane imparentate con un mondo altro rispetto a
quello degli uomini, un mondo magico col quale si rimane sempre in
bilico. Vivranno e cresceranno separate per anni, una in Italia e una
in Francia, una immersa nella pace dei boschi, dei pascoli, in un
villaggio rurale perso sulle montagne, l'altra nel centro di Roma, a
imparare a suonare il piano da un Maestro che non è solo un Maestro.
Le bambine sono al centro di tutto, e questo tutto è una guerra tra
gli elfi, che coinvolge anche gli uomini.
Dicevo
che, nonostante lo stile, ho delle critiche da muovere a Vita degli
elfi. La prima sono i personaggi; non tutti, in realtà, soltanto le
bambine. È curioso che siano proprio loro a non essermi arrivate. Si
capiscono alcune zie anziane di Maria, si capisce il curato, si
capisce Petrus. Clara e Maria, soprattutto la prima, rimangono due
figure evanescenti, che si esauriscono nelle proprie capacità e nel
legame che hanno l'una con l'altra. Un altro problema, che non riesco
a comprendere se sia di natura personale o meno, è che non sento di
aver capito fino in fondo le motivazioni dietro gli atti, dietro la
guerra, dietro tutto. Che possa essere una questione personale
dipende dal fatto che Vita degli elfi vuole essere una fiaba, una
storia raccontata senza sforzarsi di renderla coerente, senza stare a
spiegare troppo, perché vuole rimanere impalpabile e non zavorrata
dalla realtà. È una scelta che capisco, da lettrice. Eppure, non lo
so. Capisco, ma non condivido la scelta, forse.
E
dunque, non so bene come terminare questo post. Un po' perché
l'autobus mi attende – o meglio, non mi attende, il che è
peggio – e un po' perché, temo, non riuscirò a spiegare Vita
degli elfi meglio di così. È stata una lettura estremamente
piacevole per certi punti di vista – lo stile, la vita rurale,
alcuni personaggi nel villaggio di Maria – e quasi incompiuta per
altri. Forse la cosa migliore è lasciare incompiuta anche questa
recen