Ne
chiacchierava Stephen King in On writing, ineffabile ibrido
tra manuale di scrittura e autobiografia letteraria di cui ho
chiacchierato qui un sacco di tempo fa, e da qualche mese
ripubblicato da Frassinelli. Non che me ne ricordassi a tanti
mesi dalla lettura, ma l'argomento è saltato fuori qualche giorno
fa, non ricordo con chi né perché, e da allora mi è rimasto
pervicacemente in testa. Sono consapevole dell'orrore che proverebbe
King al solo scorgere la parola “pervicacemente”, ma scelgo di
lasciarla lì, perché non nutro lo stesso odio per avverbi e
aggettivi.
Mi
riferisco alla questione dell'ispirazione, alla cosiddetta Musa.
Quella di King è un tipo burbero e taciturno che fuma il sigaro;
quella di un'amica fumettista è praticamente il suo doppio, e
questo viene fuori anche in parecchie vignette; la mia è
un'irascibile piratessa dai capelli rossi.
No,
non sto scherzando. È così che la immagino, una piratessa che
giocherella con pistole settecentesche mentre sbircia lo schermo del
computer da dietro le mie spalle, e intanto sacramenta, insoddisfatta
e sboccata.
Io
e la mia Musa abbiamo un rapporto altalenante. Da piccola è stata la
mia compagna di giochi, avevamo uno splendido rapporto fatto di
inchiostro e complicità. Non era un “noi contro il mondo”, era
proprio un “noi e basta”. Passavamo ore a imbrattare quaderni in
soffitta, poi è arrivato il primo computer e facevamo del nostro
meglio per accaparrarcelo per qualche ora. Ci piaceva fare quello che
volevamo con le parole, imbastire trame, lasciandoci qualche buco qua
e là perché potessimo infiltrarci quando volevamo tra i personaggi,
stravolgere tutto e poi ricominciare.
I
problemi sono iniziati tardi, durante il primo anno di università,
quando dalla scrittura ho iniziato a pretendere qualcosa di più,
credo. Ci stavamo avvicinando alla conclusione di una storia cui
tenevamo parecchio, finché un'amica – sempre la fumettista – non
mi ha fatto notare che uno dei fattori su cui poggiava l'intera
storia non aveva alcuna ragione d'essere. Anzi, era proprio una roba
per nulla credibile, che avvelenava la trama rendendola sciapa e
inconsistente. È finita che ho abbandonato – per il momento – la
storia, e la Musa se n'è andata per anni. Da qualche tempo è
tornata, e posso dire che il nostro rapporto regge, ma da quella
volta cerco sempre di evitare di discutere le mie storie con altri,
temo che la Musa possa prendere e andarsene di nuovo chissà per
quanto tempo, irascibile com'è.
Anche
se trovo che qualcosa sia cambiato, da quando scrivevamo solo per
noi. Se il nostro primo screzio è stato provocato dalle mie alte
aspettative, contrapposte alla volontà della Musa, che ai tempi
voleva soltanto divertirsi, ora mi pare che ci troviamo sullo stesso
livello. Siamo tornate affini, anche se guardinghe. Lei non vuole
sentirsi costretta, io temo sempre che decida di sparire.
È
un rapporto strano e piuttosto intenso, specie se si tiene conto del
fatto che esiste soltanto nella mia testa, nell'angolo in cui do voce
e corpo a tutte le cose che sarebbe bello ci fossero. Forse è
schizofrenia; più probabilmente è una cosa che condivido con un
sacco di creativi, capaci o meno. Evito pure io, saggiamente, di
decidere in quale gruppo infilarmi.
Intanto,
beh, ho una piratessa nel cervello.
Qualcuno
ha Muse da condividere?