Dunque,
vediamo. Girl runner di Carrie Snyder, edito da
Sonzogno nella traduzione di Gioia Guerzoni. Ringrazio
infinitamente la Sonzogno per avermelo mandato – anche perché,
facilmente distraibile come sono, ho risposto alla mail dell'ufficio
stampa con un ritardo spaventoso, e non ho ricevuto in cambio neanche
un invito a immergermi nella lava. Grazie Sonzogno e grazie
Valentina.
Intanto
ammetto che è curioso che questo libro mi sia giunto a ridosso della
mia decisione di iniziare a correre. Non so se avrei capito del tutto
Aganetha, prima di buttarmi in strada e cronometrarmi con la durata
delle canzoni nell'mp3 – un sacco di 883, non chiedetemi il motivo.
Forse avrei storto il naso, prima, di certo mi sarei chiesta “Sì,
ok, ma perché?”. Sono contenta che Aganetha mi sia arrivata
al momento giusto, quando ero appena entrata in possesso dei mezzi
per capirla.
Aganetha, protagonista e narratrice. Ha 104 anni e vive reclusa in una casa
di riposo, con le giunture irrigidite e la foschia in testa. Gli anni
le si accavallano sulle spalle senza lasciarle nulla, passa il suo
tempo coi ricordi delle persone che ha amato e della corsa. Nel 1928
ha vinto la medaglia d'oro alle Olimpiadi per gli 800 metri,
stabilendo un record tuttora imbattuto. E un giorno arriva qualcuno
alla casa di riposo, per portarla a fare una passeggiata.
Nel libro si alternano due piani temporali, il presente
di Aganetha anziana, in sedia a rotelle, spinta da due giovani
sconosciuti, e il suo passato, narrato guardando indietro.
E
il suo passato è la parte interessante, quella potente. La sua
famiglia, la fatica, il lavoro. La sorella maggiore, Fannie, che si
lascia seguire e se la trascina dietro, che le racconta le tristi
storie dei fratellini sottoterra. Il fratello maggiore George, debole
e indolente. La sorella Cora, il padre inventore. E la corsa. La
corsa attraverso i campi, attraverso il bosco. La corsa come bisogno
primario, come sfogo, come tutto. E poi la città, la rivalità, la
gioventù, l'amicizia. Il tutto. Ciò che ha conquistato, ciò
che si è lasciata sfuggire. La sua ingenuità, la sua freddezza, la
sua forza.
Ci
sono molti momenti importanti, nella vita di Aganetha, che potrebbero
definirsi come il fulcro del libro, come il punto in cui la sua vita
non è stata più la stessa. Tante morti, tante delusioni,
tradimenti. Ma la storia va avanti, perché il disvelamento di una
tragedia non risolve narrativamente la trama. La vita di Aganetha
prosegue, anche troppo. Pure storpiata, poco a poco, di tutto ciò che
ama.
Mentre
leggevo sentivo che avrei dovuto muovere una critica all'autrice. La
distanza tra Aganetha e il mondo. Il fatto che le tragedie che vive
vengano raccontate come da lontano, con freddezza chirurgica. Non è
una narrazione intensa e passionale; poi mi sono resa conto che forse
è giusto così, che Aganetha stessa è fredda e distante dal mondo,
da tutto ciò che non è corsa.
Sta
di fatto che questo libro l'ho iniziato al mattino, mentre facevo
colazione, e l'ho terminato la sera, prima di cena, seduta allo
stesso tavolo. Qualcosa vorrà ben dire.
E
ovviamente lo consiglio. Per motivi che neanch'io so spiegare appieno
– il finale, ad esempio, mi ha lasciata un po' dubbiosa, e ammetto di non aver gradito del tutto il modo in cui è affrontata
la questione del “presente”, l'ho trovata un po' tirata via –
eppure l'ho divorato. Forse è la sincerità con cui Aganetha si
racconta, anche nelle sconfitte, non saprei. Però mi è piaciuto un
sacco.