C'è
una questione che mi stupisce, e che torna a galla spesso quando si
chiacchiera delle ideologie trasmesse da contenuti mediali di
qualsivoglia tipologia o formato, siano libri, film, videogiochi o
serie televisive. Non ho ancora capito come esprimerla senza suonare
orrendamente saccente, quindi avverto che da qui in avanti c'è la
possibilità che mi si voglia lanciare un'incudine dritta in mezzo
agli occhi. Il fatto è che la questione mi è sempre parsa di
un'ovvietà così evidente che mi è difficile parlarne in termini
dubbiosi; dovrei simulare il dubbio, e il dubbio latita. E poiché
trovo che non ci sia nulla di più irrispettoso del sottovalutare
l'altrui capacità di comprensione, penso che mi risolverò ad
esprimermi così come mi viene naturale.
Ho
sempre trovato piuttosto assurdo il modo in cui molti danno per
scontato che la propria visione del mondo sia una questione
cosciente, ragionata, oggettiva. Che ci sia soltanto quello che si
vede, un rapporto 1:1 tra pensiero coerente e visione del mondo; che
i loro occhi, in sostanza, vedano esattamente quello che c'è da
vedere, senza aggiunte e senza sottrazioni.
Quando
scriviamo, di norma, raccontiamo ciò che pensiamo sia vero. Certo,
si inventa un sacco, specie se parliamo di ambientazioni fantasy o
fantascientifiche. Ma per quanto improbabile sia il mondo in cui
decidiamo di raccontare le nostre storie, finiremo per riprodurre
nella narrazione anche la nostra parzialissima visione del mondo.
Volenti o nolenti.
Ora,
io per “visione del mondo” intendo il modo in cui viviamo la
realtà. Non come vorremmo che sia, ma come la interpretiamo, e
dunque come la esperiamo. Per fare un esempio becero, prendiamo i
Testimoni di Geova; quando mi approcciano per strada, e succede
piuttosto spesso, non chiedetemi perché, accetto sempre la loro
rivista, e cerco di mostrarmi il più gentile possibile. I Testimoni
di Geova, secondo la mia visione del mondo, supportano ideologie
improbabili e dannose, soprattutto per loro stessi; sono certamente
un po' rompiscatole quelli che ti si accollano – ma c'è anche da
dire che sono molto rari – e quelli che ti suonano a casa. Ma
secondo la loro visione del mondo, convincerti ad unirti a loro
equivale a difendere la tua anima eterna dal fuoco dell'inferno.
Tecnicamente ti stanno salvando dall'eterna dannazione. Dalla loro
prospettiva, questo gesto che rimane lo stesso e immutato nella
realtà immanente e oggettiva, è molto diverso da come io lo vivo e
lo interpreto. La visione del mondo è questa, per me. Una lente
fatta delle nostre ideologie, del nostro vissuto, dei nostri valori,
tutto mescolato insieme, attraverso la quale diamo un senso al mondo.
Quello
che non cessa di perplimermi è il fatto che moltissime persone
sembrano essere del tutto ignari di avere questa lente sugli occhi.
Come se tutto ciò che amano, odiano e pensano potesse essere
razionalmente motivato, come se si potesse tracciare una linea dritta
e indisturbata tra ciò cui credono e ciò che provano.
Le
scienze sociali sono con me nell'esprimere un deciso “ma anche no”.
Ogni persona costituisce un intricatissimo gomitolo che fonde ciò
che ha vissuto e ciò che ha imparato; ed è divertente, per chi ne
ha voglia, cercare di scoprire dove, quando e perché certi nodi si
sono formati e hanno preso determinate forme. Io mi ci diverto un
sacco, giusto ieri mi sono più o meno spiegata com'è che mi
entusiasma così tanto la figura del pirata.
A
venire maggiormente negata, poi, è l'influenza del contesto in cui
si è cresciuti sulla propria visione del mondo, pure in presenza di
evidenti incoerenze tra il modo di vedere una cosa e le ideologie che
si propugnano. Per fare un ulteriore esempio triviale, prendiamo lo
sbandierato “Il corpo è mio e me lo gestisco io”, in deciso
contrasto col disprezzo dimostrato da taluni verso coloro che sì,
del corpo fanno quello che vogliono, pure un uso ampio e
incondizionato. È una delle incongruenze in cui mi imbatto più
spesso; a proteggerla si innalzano vessilli quali “decenza” e
“rispetto di sé”; ma ecco, non è che questi termini siano cose
innate. Le impariamo dal contesto, e a seconda dell'ambiente in cui
cresciamo, che sia città o paesello, famiglia di mentalità chiusa o
aperta, li sposteremo più indietro o più in avanti. Per dire, per
me “decenza” e “rispetto di sé” stanno a ciò che una
persona vuole per se stessa. Ciò che trovo squallido è fare – o
non fare – qualcosa per aderire alle altrui aspettative.
Tutto
ciò per affermare che, essenzialmente, vediamo il mondo così come
ci è stato insegnato a vederlo, e come ci viene quotidianamente
mostrato, a meno che non ci mettiamo d'impegno a scardinare ciò che
ci ha insegnato il nostro ambiente mattone per mattone, attraverso il
pensiero logico.
E
dunque? E dunque chi scrive riproduce la sua visione del mondo.
Chiaro, semplice, cristallino. Non riproduce la realtà, ma la realtà
in cui è convinto di vivere. Sono cose diverse.
Questo
post mi è sorto in mente dopo aver letto un paio di post dedicati al
Bechdel Test. Trattasi di un metodo molto alla buona – e che alla
buona vuole essere – volto a giudicare se un prodotto narrativo si
esprima attraverso una visione sessista del mondo, attraverso tre
semplici domande:
- Nel racconto sono presenti almeno due donne?
- Le due donne parlano almeno una volta tra di loro?
- Le due donne parlano di un argomento che non sia il protagonista?
Se ancora non conoscete il test né l'avete testato, e se siete persone ottimiste sulla condizione della donna nei media, ecco, i risultati vi stupiranno. Ovviamente non si tratta di un metodo scientifico ed efficientissimo; magari i personaggi femminili sono pochi perché la narrazione comprende di per sé pochi personaggi; oppure il protagonista ha soltanto amici maschi perché così prevede la sua caratterizzazione; ancora, non è detto che l'assenza di personaggi femminili dalla sua vita sia vista come una cosa positiva dall'autore.
Ma
soprassediamo sul Bechdel Test. Tenar ne ha abbondantemente
chiacchierato qui,
e vi invito caldamente a dare un'occhiata; non ha senso che io
aggiunga altro sull'argomento, se non funzionalmente rispetto
all'argomento del post. Coloro che non superano il Bechdel Test, e
che riproducono nelle loro opere una visione del mondo sessista, non
è detto che siano di per sé sessisti. Anzi, è molto probabile che
si offenderebbero alla sola ipotesi; alcuni a torto, perché sono
molti coloro che, in maniera del tutto involontaria e inconsapevole,
sostengono e riproducono pregiudizi legati al genere. Il fatto è che
non sanno di avere una lente sugli occhi, che li aiuta a dare un
senso alla realtà che li circonda, e che porta con sé una serie di
ideologie e credenze difficilissime da individuare se non quando
vengono a galla.
Ed
è questo che mi sconvolge, non l'esistenza di quella lente. Anch'io
ho una visione del mondo, anche la mia è prettamente parziale, anche
a me capita di fare affermazioni smontabili nel giro di due battute.
Anch'io sono piena di incoerenze e preconcetti, in cui talvolta mi
getto proprio come reazione avversa agli insegnamenti non voluti di
un contesto che non approvo. Quando scrivo – o meglio, scribacchio
– cerco di epurare l'ambientazione dalla mia parzialità; cerco di
cancellarmi dalla narrazione, e di lasciare soltanto ciò che, a
mente fredda, ho piacere che rimanga.
E
davvero mi confonde, il fatto che tanti della loro lente non vogliano
neanche sentire parlare.