Scribacchiolando #11 - La nostra visione del mondo

C'è una questione che mi stupisce, e che torna a galla spesso quando si chiacchiera delle ideologie trasmesse da contenuti mediali di qualsivoglia tipologia o formato, siano libri, film, videogiochi o serie televisive. Non ho ancora capito come esprimerla senza suonare orrendamente saccente, quindi avverto che da qui in avanti c'è la possibilità che mi si voglia lanciare un'incudine dritta in mezzo agli occhi. Il fatto è che la questione mi è sempre parsa di un'ovvietà così evidente che mi è difficile parlarne in termini dubbiosi; dovrei simulare il dubbio, e il dubbio latita. E poiché trovo che non ci sia nulla di più irrispettoso del sottovalutare l'altrui capacità di comprensione, penso che mi risolverò ad esprimermi così come mi viene naturale.
Ho sempre trovato piuttosto assurdo il modo in cui molti danno per scontato che la propria visione del mondo sia una questione cosciente, ragionata, oggettiva. Che ci sia soltanto quello che si vede, un rapporto 1:1 tra pensiero coerente e visione del mondo; che i loro occhi, in sostanza, vedano esattamente quello che c'è da vedere, senza aggiunte e senza sottrazioni.
Quando scriviamo, di norma, raccontiamo ciò che pensiamo sia vero. Certo, si inventa un sacco, specie se parliamo di ambientazioni fantasy o fantascientifiche. Ma per quanto improbabile sia il mondo in cui decidiamo di raccontare le nostre storie, finiremo per riprodurre nella narrazione anche la nostra parzialissima visione del mondo. Volenti o nolenti.
Ora, io per “visione del mondo” intendo il modo in cui viviamo la realtà. Non come vorremmo che sia, ma come la interpretiamo, e dunque come la esperiamo. Per fare un esempio becero, prendiamo i Testimoni di Geova; quando mi approcciano per strada, e succede piuttosto spesso, non chiedetemi perché, accetto sempre la loro rivista, e cerco di mostrarmi il più gentile possibile. I Testimoni di Geova, secondo la mia visione del mondo, supportano ideologie improbabili e dannose, soprattutto per loro stessi; sono certamente un po' rompiscatole quelli che ti si accollano – ma c'è anche da dire che sono molto rari – e quelli che ti suonano a casa. Ma secondo la loro visione del mondo, convincerti ad unirti a loro equivale a difendere la tua anima eterna dal fuoco dell'inferno. Tecnicamente ti stanno salvando dall'eterna dannazione. Dalla loro prospettiva, questo gesto che rimane lo stesso e immutato nella realtà immanente e oggettiva, è molto diverso da come io lo vivo e lo interpreto. La visione del mondo è questa, per me. Una lente fatta delle nostre ideologie, del nostro vissuto, dei nostri valori, tutto mescolato insieme, attraverso la quale diamo un senso al mondo.
Quello che non cessa di perplimermi è il fatto che moltissime persone sembrano essere del tutto ignari di avere questa lente sugli occhi. Come se tutto ciò che amano, odiano e pensano potesse essere razionalmente motivato, come se si potesse tracciare una linea dritta e indisturbata tra ciò cui credono e ciò che provano.
Le scienze sociali sono con me nell'esprimere un deciso “ma anche no”. Ogni persona costituisce un intricatissimo gomitolo che fonde ciò che ha vissuto e ciò che ha imparato; ed è divertente, per chi ne ha voglia, cercare di scoprire dove, quando e perché certi nodi si sono formati e hanno preso determinate forme. Io mi ci diverto un sacco, giusto ieri mi sono più o meno spiegata com'è che mi entusiasma così tanto la figura del pirata.
A venire maggiormente negata, poi, è l'influenza del contesto in cui si è cresciuti sulla propria visione del mondo, pure in presenza di evidenti incoerenze tra il modo di vedere una cosa e le ideologie che si propugnano. Per fare un ulteriore esempio triviale, prendiamo lo sbandierato “Il corpo è mio e me lo gestisco io”, in deciso contrasto col disprezzo dimostrato da taluni verso coloro che sì, del corpo fanno quello che vogliono, pure un uso ampio e incondizionato. È una delle incongruenze in cui mi imbatto più spesso; a proteggerla si innalzano vessilli quali “decenza” e “rispetto di sé”; ma ecco, non è che questi termini siano cose innate. Le impariamo dal contesto, e a seconda dell'ambiente in cui cresciamo, che sia città o paesello, famiglia di mentalità chiusa o aperta, li sposteremo più indietro o più in avanti. Per dire, per me “decenza” e “rispetto di sé” stanno a ciò che una persona vuole per se stessa. Ciò che trovo squallido è fare – o non fare – qualcosa per aderire alle altrui aspettative.
Tutto ciò per affermare che, essenzialmente, vediamo il mondo così come ci è stato insegnato a vederlo, e come ci viene quotidianamente mostrato, a meno che non ci mettiamo d'impegno a scardinare ciò che ci ha insegnato il nostro ambiente mattone per mattone, attraverso il pensiero logico.
E dunque? E dunque chi scrive riproduce la sua visione del mondo. Chiaro, semplice, cristallino. Non riproduce la realtà, ma la realtà in cui è convinto di vivere. Sono cose diverse.
Questo post mi è sorto in mente dopo aver letto un paio di post dedicati al Bechdel Test. Trattasi di un metodo molto alla buona – e che alla buona vuole essere – volto a giudicare se un prodotto narrativo si esprima attraverso una visione sessista del mondo, attraverso tre semplici domande:
  1. Nel racconto sono presenti almeno due donne?
  2. Le due donne parlano almeno una volta tra di loro?
  3. Le due donne parlano di un argomento che non sia il protagonista?
Se ancora non conoscete il test né l'avete testato, e se siete persone ottimiste sulla condizione della donna nei media, ecco, i risultati vi stupiranno. Ovviamente non si tratta di un metodo scientifico ed efficientissimo; magari i personaggi femminili sono pochi perché la narrazione comprende di per sé pochi personaggi; oppure il protagonista ha soltanto amici maschi perché così prevede la sua caratterizzazione; ancora, non è detto che l'assenza di personaggi femminili dalla sua vita sia vista come una cosa positiva dall'autore.
Ma soprassediamo sul Bechdel Test. Tenar ne ha abbondantemente chiacchierato qui, e vi invito caldamente a dare un'occhiata; non ha senso che io aggiunga altro sull'argomento, se non funzionalmente rispetto all'argomento del post. Coloro che non superano il Bechdel Test, e che riproducono nelle loro opere una visione del mondo sessista, non è detto che siano di per sé sessisti. Anzi, è molto probabile che si offenderebbero alla sola ipotesi; alcuni a torto, perché sono molti coloro che, in maniera del tutto involontaria e inconsapevole, sostengono e riproducono pregiudizi legati al genere. Il fatto è che non sanno di avere una lente sugli occhi, che li aiuta a dare un senso alla realtà che li circonda, e che porta con sé una serie di ideologie e credenze difficilissime da individuare se non quando vengono a galla.
Ed è questo che mi sconvolge, non l'esistenza di quella lente. Anch'io ho una visione del mondo, anche la mia è prettamente parziale, anche a me capita di fare affermazioni smontabili nel giro di due battute. Anch'io sono piena di incoerenze e preconcetti, in cui talvolta mi getto proprio come reazione avversa agli insegnamenti non voluti di un contesto che non approvo. Quando scrivo – o meglio, scribacchio – cerco di epurare l'ambientazione dalla mia parzialità; cerco di cancellarmi dalla narrazione, e di lasciare soltanto ciò che, a mente fredda, ho piacere che rimanga.
E davvero mi confonde, il fatto che tanti della loro lente non vogliano neanche sentire parlare.