Di
questo libro ho già parlicchiato, anche se ai tempi non l'avevo
ancora letto. Trattasi di Dietro la scena del crimine – Morti
ammazzati per fiction e per davvero di Cristina Brondoni, fresco da
Las Vegas. Ne avevo chiacchierato qui, dopo aver assistito
alla presentazione al Circolo dei Lettori.
Ero
uscita dalla presentazione divertita e un po' spiazzata dal mio
stesso divertimento. Mi chiedevo se il libro sarebbe stato
all'altezza dell'incontro, leggero e informativo, macabro e
scanzonato. La risposta è sì. A parte il finale, se così vogliamo
chiamarlo, visto che trattasi di un'opera di saggistica. Gli ultimi
capitoli, tra Dahmer, Gain e Bundy, perdono la patina di
spensieratezza e calano più sulla ferocia.
C'era
una cosa che non avevo capito del libro, nonostante me ne avesse
parlato Carlotta – la Signora Las Vegas – e nonostante avessi
seguito con ininterrotto interesse alla presentazione. Dietro la
scena del crimine non è solo un'opera che vuole fare luce sulle
differenze tra le scienze forensi nelle fiction e la realtà dei
fatti. Dietro la scena del crimine vuole anche essere un manuale per
la scrittura di gialli e thriller; se uno vuole scrivere di delitti,
è bene che lo faccia tenendo presente gli errori in cui può
incappare. Vuoi perché i media ci mostrano un modello di indagine
che non cambia quasi mai da una serie tv all'altra, vuoi perché
certi aspetti li diamo ormai così per scontati che non ci prendiamo
la briga di fare le dovute ricerche, ma chi cerca di scrivere gialli
– e l'autrice qui cita un paio di esempi azzeccatissimi – spesso
fa degli errori davvero grossolani. Non soltanto errori puramente
narrativi o strutturali, proprio errori di scienza forense o di
ambientazione.
Per
dire, se tu vuoi che una persona muoia uccisa con un veleno, tu quel
veleno lo devi conoscere. Devi conoscerne l'odore, il sapore, sapere
se si scioglie nell'acqua, e se sia rilevabile a un'analisi
superficiale. E devi anche sapere come e dove ci se lo può
procurare, quali effetti ha sulla vittima, quanto tempo occorre
perché ne provochi la morte... tutto. Gli strumenti per uccidere, se
vuoi scrivere di delitti, devi conoscerli bene. Magari non tutti, ma
almeno quelli che decidi di utilizzare nella storia, che diamine.
Sono
elencati altri errori, meno ovvi. La condizione del cadavere, quello
che ci si può aspettare dalla putrefazione, dal rigor mortis, dal
sangue. Un sacco di elementi che sarebbe bene il caso di studiarsi,
prima di piazzare un morto sulla scena, e soprattutto prima di farlo
analizzare da quello che dovrebbe essere un esperto.
Cristina
cita diversi esempi, presi soprattutto dalle serie televisive. Cita
ad esempio Rust Cole, detective “dannato” della prima stagione di
True Detective. Apro e chiudo immediatamente la parentesi, sperando
che la McMusa, che ha presentato il libro insieme all'autrice
al Circolo dei Lettori e che ha difeso a spada tratta Rust, non legga
mai. A me Rust non piaceva, come personaggio. Era troppo dannato.
Troppo noncurante per prendersi il disturbo di sproloquiare
sull'umana sorte. Quando filosofeggiava mi cascava tutta la
credibilità. Il primo True Detective mi è piaciuto, ma penso di
essere tra i pochissimi che hanno preferito di gran lunga la seconda
stagione. Chiusa parentesi.
Cristina,
dicevo, prendeva ad esempio True Detective per lamentare delle
eccessive libertà che si prendono gli sceneggiatori. Non dovrebbe
fumare, ad esempio, sulla scena del crimine. E non si dovrebbero fare
avvicinare i personaggi a un cadavere già bello frollato come se
stessero entrando nella fabbrica degli Arbre Magique. Per non parlare
delle stazioni di polizia che avrebbero più senso in Star Trek che
in quella che vorrebbe essere una rappresentazione della reale
routine investigativa.
È
un libro ganzo. Non leggo molta saggistica, tutt'altro. Banalmente,
perché di rado incappo in un argomento che mi interessi abbastanza
da supplire alla mancanza di una trama. Potrei continuare a elencare
quello che ci si trova, e gli errori che evidenzia, ma non avrebbe
poi troppo senso.
È
un libro per chi vuole leggere e scrivere bene di morti ammazzati e per chi a prescindere si interessa di criminologia. E
diamine, lo consiglio assai.