Scompigli
in famiglia di Corinne Devillaire – traduzione di Silvia Manfredo –
Edizioni e/0, 2015
Questo
libro mi interessava da un po', e da quel po' ci girellavo intorno,
finché non me lo sono trovato davanti in biblioteca. Mio. Ora, debbo
dire che la stessa copertina che tanto mi aveva attratta, a lettura
finita mi ha lasciato vagamente nel dubbio. È una copertina che mi
piace, e molto. Il chiaro sullo scuro, le linee delle biciclette, le
macchie di colore degli uccellini. Mi comunicava qualcosa di allegro
e inconsueto. E qualcosa di inconsueto l'ho anche trovato, mentre
qualcosa di allegro... beh, sì, anche. In senso lato. In realtà più
la critico e più mi rendo conto che forse la copertina è perfetta
per comunicare quello che si trova all'interno del libro. Il
contrasto, una casa grande e scura sullo sfondo che punta le proprie
finestre sulle biciclette di fronte. Fiori e uccellini stilizzati,
naif, gioiosi. Sì, ha ragione il grafico. Anche per il solo fatto di
avermici fatto arrovellare.
Dunque,
la trama.
C'è
una famiglia francese disfunzionale. Tipo il topos massimo della
letteratura francese. C'è questa famigliola che torna dalle vacanze,
genitori e tre figli. La madre, poiché ci stanno passando proprio
davanti, propone di andare a trovare la nonna paterna con cui il
marito ha tagliato ogni plausibile ponte da decenni. Lui, che non
intende spiegare un rifiuto di fronte ai figli, si arrende. Arrivano
a casa di nonna Malou e del marito Robert, due sessantenni che
sfoggiano un aspetto da quarantenni tenuti bene, in una casa
meravigliosa. Lei moglie perfetta, lui chirurgo estetico. Lei
praticamente la sua opera d'arte.
Dapprima
Malou è scocciata, non vorrebbe avere niente a che fare con quel
musone del figlio e coi suoi marmocchi che la fanno sentire nonna, e
quindi vecchia. Poi conosce il piccolo Pierre e se ne innamora. E
decide, per lui, di diventare nonna del tutto. Di disfarsi della
corazza di donna bella e giovanile, di cambiare vita.
Nel
frattempo, Clothilde, la nipote maggiore, una sedicenne geniale che
già sta dando gli esami per entrare all'università, si innamora di
Robert, il nonno acquisito. E intanto Frèdèric, il figlio musone,
ha difficoltà a tenere sotto controllo l'astio verso la madre.
Clarisse, la figlia di mezzo, osserva.
La
storia viene raccontata con una bizzarra modalità a puzzle. Pezzi
del diario di nonna Malou, lettere che le scrivono Pierre e Clarisse,
diario di Clothilde, deposizioni di mamma Katrin e di padre Frèdèric,
ricordi di Clarisse e di Clothilde... un allegro pot pourri che non
sempre segue un percorso cronologico lineare, e che tuttavia si segue
bene.
I
personaggi sono perlopiù interessanti e ben raccontati – specie
Malou; la trama prosegue senza intoppi, ed è interessante poter
attingere a tanti punti di vista. E mi è piaciuto molto il contrasto
tra la storia e il tono scanzonato con cui è raccontata. Quindi sì,
consiglio assai.
La
vita perfetta di William Sidis di Morten Brask – traduzione di
Ingrid Basso – Iperborea, 2014
Pure
questo libro mi è interessato a lungo, anche se mi ci è voluto più
tempo per procurarmelo. Complice una disposizione poco funzionale
della narrativa nordica nella meravigliosa biblioteca reggiana ove
solitamente attraccano le mie necessità di lettrice.
Dunque,
vediamo. Questo libro mi è piaciuto moltissimo. Moltissimo davvero,
e a livello più profondo. La narrazione segue tre diverse linee
cronologiche: i primi mesi di vita di William, poi la sua vita in età
scolare, poi la sua vita adulta, in un presente che è quello
dell'America nel 1944. Per forza di cose, la prima linea finisce
per raggiungere la seconda, e la seconda si avvicina alla terza.
Eppure non c'è la minima confusione. Ogni capitolo rimane ancorato
al quel periodo nella vita di William, e tutto scorre.
William
Sidis è un genio. Nasce in America da due genitori
intelligentissimi, lei un medico e lui uno psichiatra. Entrambi
emigrati da un'Ucraina terribile, e con bagagli di orrore. Allevano
William con rigore metodologico, cercano di piantare in lui i semi
della curiosità, dell'amore per il sapere. Già nei primi mesi non
lo imboccano, ma gli insegnano a portarsi il cucchiaio alle labbra.
Tutto è insegnamento nella sua infanzia, e a undici anni si trova
già a dare conferenze sulla geometria della quarta dimensione ad
Harvard.
William
è un genio. Diventa famoso, scrivono articoli su di lui. Alunno più
giovane ad aver frequentato il liceo e ad avere ottenuto una laurea.
Lui che riesce a farsi un unico amico, Nat Sharfman, che ha
difficoltà a tenersi un lavoro perché non vuole essere riconosciuto
per quello che è, desidera soltanto rintanarsi in un angolo a fare i
suoi conti ed essere lasciato in pace. Che si tiene nel portafoglio
la foto di Martha, conosciuta nel 1919. Lui e la politica e il bene
dell'uomo. Lui e i genitori. Lui e il sanatorio.
William
Sidis è realmente esistito, e il libro riprende chiaramente i fatti
della sua vita. Però qui è soprattutto un personaggio vivo sulla
carta, e l'autore si premura di comunicarci delle libertà che si è
preso, se non con i suoi studi, col suo mondo interiore.
Una
cosa curiosa di questo libro è quanto risulti leggero, gradevole,
caloroso. Perché non racconta quasi mai di avvenimenti belli e
allegri. William Sidis non ha avuto una vita perfetta, ma una vita in
cui si sono intervallati esclusione e fuga. Però... non lo so. Dalle
sue conversazioni con Nat spunta la “vita perfetta”, e poi viene
da chiedersi come sarebbe la vita perfetta di un genio. Un angolo per
pensare, per scrivere, per arrovellarsi. E poi che altro?