La
serie del 67 Clarges Street di M. C. Beaton – traduzione di Simona
Garavelli – Astoria Edizioni
A
M. C. Beaton voglio un sacco di bene da quando mi è capitato tra le
mani per la prima volta Agatha Raisin e la quiche letale, primo
volume di una serie che adoro per il buonumore che mi trasmette. A
volte ci vogliono delle letture che mettano un po' di allegria, che
facciano lo stesso effetto delle luci natalizie – siamo a fine
ottobre, per me è già periodo natalizio pieno – e di un gatto che
ronfa beato. Per dire, ieri notte ho finito di leggere Il deserto dei
Tartari, e ho sofferto grandemente l'assenza di un po' di M. C.
Beaton.
La
serie del 67 Clarger Street è tutt'altra cosa rispetto ad Agatha
Raisin. Trattasi di una serie ambientata nell'epoca della Reggenza,
che narra le vicissitudini di coloro che abitano il 67 di Clarges
Street, una dimora ampia e lussuosa nel centro di Londra, gestita da
un avvocato infame che sfrutta orrendamente coloro che prestano
servizio nella suddetta dimora, che viene affittata ogni anno per la
stagione a famiglie più o meno facoltose.
Il
punto fermo della serie non sono le famiglie, che levano le tende
alla fine di ogni libro, o di ogni stagione. Ciò che rimane da un
libro all'altro sono la dimora e coloro che vi lavorano. Il
maggiordomo Rainbird, il cuoro Angus, la governante Mrs Middleton, le
cameriere Jenny e Alice, l'irritante valletto Joseph e gli sguatteri
Lizzie e Dave. Sono agenti e contrappunti di quanto avviene ai piani
superiori, delle vicende che vedono protagoniste giovani donzelle
alle prese con qualche ostacolo alla propria felicità.
M.
C. Beaton dev'essere una potente fan di Georgette Heyer. Purtroppo
non è ai suoi livelli per svariati motivi, anche se la ritengo
comunque una lettura piacevole. Ama il periodo storico di cui
racconta, ma non lo conosce né lo racconta con altrettanta
puntigliosità. Ma soprattutto, ci sono scene e personaggi di cui non
ride appieno. L'aspetto che amo più di Georgette Heyer, sempre
pubblicata da Astoria, è la sua capacità di scrivere romanzi
regency ridendo delle loro ingenuità strutturali e delle assurdità
dei propri personaggi. Compaiono sì Lord senza macchia, ma sono
presi in giro in quanto tali, sono figure comiche nella stessa misura
in cui sono ammirevoli. M. C. Beaton, di contro, non li prende
altrettanto sul ridere. Almeno fino al terzo volume della serie, che
è l'ultimo che ho letto. Il quarto, uscito da poco, non è ancora
tra le mie mani, ma è questione di tempo.
Quindi
sì, se qualcuno fosse interessato ai romanzi Regency consiglio
spassionatamente questa serie. Non è Georgette Heyer, ma è comunque
una bella lettura. Di quelle che, ribadisco, ogni tanto ci vogliono.
Le
lacrime di Nietzsche di Irvin D. Yalom – traduzione di Mario Biondi
– Neri Pozza, 2006
Questo
è il primo libro che leggo di un autore che non so quante volte mi
ero ripromessa di provare. E per buona ragione. Yalom è un
professore di psichiatria alla Stanford University e lavora a Palo
Alto, nome che farà tremare chiunque abbia mai fatto studi
umanistici. A me dà un briciolo di nausea. In questo libro viene
raccontato l'ipotetico – assolutamente frutto delle fantasie
dell'autore – incontro tra Friedrich Nietzsche e il dottor Joseph
Breuer, maestro di Freud.
Capita
che un giorno Lou Salomè, una giovane di incredibile avvenenza e
personalità travolgente, decida di approcciare il dottor Breuer in
un caffè di Venezia. Intende convincerlo a prestare soccorso a un
suo caro amico, Friedrich Nietzsche, che da qualche tempo è preda di
una terribile disperazione, e teme possa finire col togliersi la
vita. L'aiuto, però, deve essere prestato in segreto. Ovvero, Lou
Salomè troverà il modo per fare incontrare Breuer e Nietzsche, e il
primo dovrà trovare il modo per guarire il secondo senza che questo
lo sappia.
Inizia
così, e poco a poco il piano di Breuer e Salomè prende vita. E nel
frattempo vengono raccontate le vicissitudini familiari di Breuer, la
crisi del suo matrimonio, la sua amicizia con Freud, l'ossessione per
la paziente Bertha Poppenheim, scorci dell'antisemitismo che
percorreva le strade di Vienna sullo spegnersi dell'800. Ma
soprattutto il rapporto tra Breuer e Nietzsche, l'influenza reciproca,
i rimandi ai libri del filosofo il cui Zarathustra era ancora un
embrione.
Un
bel libro, che ho letto con piacere. Eppure non so se ne ho
apprezzato appieno il finale. Una parte di me l'ha trovato un po'
ingenuo, un'altra lamentava l'eccessivo spazio dedicato ai colloqui
tra filosofo e medico, perché non avrebbe guastato qualche scorcio
di contesto storico in più. Rimane una gradevolissima lettura, che
comunque consiglio. Infatti aggancerò un altro Yalom appena
possibile.