La
signora Melograno di Goli Taraghi – traduzione di Anna Vanzan –
Calabuig, 2014
Calabuig
è una casa editrice giovane, che ho citato un paio di post fa,
quando davo consigli su editori che si occupano anche di culture
geograficamente “altre”. Ho letto diversi dei libri che hanno
pubblicato, anche perché negli ultimi mesi me ne hanno spediti
diversi. Questo, che mi sono lietamente accaparrata in biblioteca,
forse è quello che ho preferito, insieme a Il trasloco di
Hebe Uhart. E dire che è una raccolta di racconti, e io di
solito i racconti non li reggo. Spero vivamente che la Taraghi abbia
pubblicato anche romanzi, e che la Calabuig in futuro li traduca.
Goli
Taraghi è iraniana, e questo si sente. Non nella scrittura, che è
bella e forbita, ma dopotutto occidentale, ma nei contesti e nei
personaggi. L'Iran emerge spesso in questi racconti, nelle sue
bellezze e nelle sue contraddizioni. Fortunatamente – per me –
nessun racconto era troppo corto perché non venisse a formarsi
un'ambientazione chiara e ben delineata. Come il villaggio rurale
nelle parole della signora Melograno, un'ottantenne persa nella
vastità dell'aeroporto di Teheran, che non riesce a capire come
arrivare fino in Svezia dai figli che non vede da dieci anni. Come la
rivoluzione del '79 che emerge dietro le lezioni di ballo di I fiori
di Shiraz, un gruppo di ragazzine allegre e movimentate, che un paio
di volte rimangono bloccate in palestra. Il terrore per i funzionari
governativi che tuttavia non riescono a intimorire né piegare la
nonna in Gentile ma ladro.
Ma
il contesto storico e sociale non è soverchiante rispetto alle trame
e ai personaggi. La Taraghi non voleva raccontare l'Iran facendo uso
di burattini di parole, tutt'altro. Il fatto è che mentre ai
personaggi succedevano certe cose, altre cose accadevano intorno a
loro, e sarebbe stato assurdo tacerle.
Compaiono
spesso viaggi e aerei, nei racconti. Un'unica protagonista è
emigrata in Francia, a Parigi, e vive in solitudine coi due figli
piccoli, terrorizzata dalla signora del piano di sotto, che chiama
Madame Lupo, che sale a lamentarsi per ogni più piccolo rumore. È
spaventata dai francesi, dalla loro scostarsi, dal loro sospetto.
Ricorda il villaggio, la famiglia, il calore. Curiosamente, mi ha
ricordato un po' le comunità di cui parla Wendell Berry.
Penso
si sia capito che mi è piaciuto un sacco, e conseguentemente lo
consiglio moltissimo.
La
ragazza dagli occhi verdi di Edna O'Brien – traduzione di Franca
Cavagnoli - edizioni e/o, 2010
Questo
libro è stato per me un errore. E non perché non mi sia piaciuto,
invero l'ho adorato, e divorato nel tempo di un'andata e un ritorno
in treno fino alla città della mia università. Peccato che, a
quanto pare, fosse il secondo volume di una trilogia iniziata, a
quanto ho intuito, con Ragazze di campagna, e terminata con
Ragazze nella felicità coniugale. Che ora voglio entrambi.
Violentemente. Infatti li ho piazzati nella lista di compleanno.
Dunque,
il libro si legge benissimo pur senza aver letto il volume
precedente, questo lo posso assicurare. Mi spiace solo di sapere
com'è finito il primo libro senza averlo letto, ecco. Accortezza.
Irlanda.
Un sacco di meravigliosa Irlanda, che per me è meravigliosa anche
quando non la è. La protagonista è Caithleen, una ragazza
cicciottella che lavora in un emporio a Dublino, vive con la migliore
amica Baba, e legge. Ogni tanto si imbucano a feste alle quali non
sono state invitate, cercano di divertirsi, ridono un sacco. Poi
Caithleen conosce Eugene, più grande di lei, raffinato, ben poco
irlandese. E la storia prosegue com'è ovvio che prosegua, almeno
fino a un certo punto. Il fatto è che Caithleen è, come dal titolo
del precedente libro, una vera ragazza di campagna.
È
un bel libro, con la sua storia d'amore, il suo scorcio d'Irlanda, le
sue risate. Consigliaterrimo.