Piccoli scorci di libri #52

La signora Melograno di Goli Taraghi – traduzione di Anna Vanzan – Calabuig, 2014

Calabuig è una casa editrice giovane, che ho citato un paio di post fa, quando davo consigli su editori che si occupano anche di culture geograficamente “altre”. Ho letto diversi dei libri che hanno pubblicato, anche perché negli ultimi mesi me ne hanno spediti diversi. Questo, che mi sono lietamente accaparrata in biblioteca, forse è quello che ho preferito, insieme a Il trasloco di Hebe Uhart. E dire che è una raccolta di racconti, e io di solito i racconti non li reggo. Spero vivamente che la Taraghi abbia pubblicato anche romanzi, e che la Calabuig in futuro li traduca.
Goli Taraghi è iraniana, e questo si sente. Non nella scrittura, che è bella e forbita, ma dopotutto occidentale, ma nei contesti e nei personaggi. L'Iran emerge spesso in questi racconti, nelle sue bellezze e nelle sue contraddizioni. Fortunatamente – per me – nessun racconto era troppo corto perché non venisse a formarsi un'ambientazione chiara e ben delineata. Come il villaggio rurale nelle parole della signora Melograno, un'ottantenne persa nella vastità dell'aeroporto di Teheran, che non riesce a capire come arrivare fino in Svezia dai figli che non vede da dieci anni. Come la rivoluzione del '79 che emerge dietro le lezioni di ballo di I fiori di Shiraz, un gruppo di ragazzine allegre e movimentate, che un paio di volte rimangono bloccate in palestra. Il terrore per i funzionari governativi che tuttavia non riescono a intimorire né piegare la nonna in Gentile ma ladro.
Ma il contesto storico e sociale non è soverchiante rispetto alle trame e ai personaggi. La Taraghi non voleva raccontare l'Iran facendo uso di burattini di parole, tutt'altro. Il fatto è che mentre ai personaggi succedevano certe cose, altre cose accadevano intorno a loro, e sarebbe stato assurdo tacerle.
Compaiono spesso viaggi e aerei, nei racconti. Un'unica protagonista è emigrata in Francia, a Parigi, e vive in solitudine coi due figli piccoli, terrorizzata dalla signora del piano di sotto, che chiama Madame Lupo, che sale a lamentarsi per ogni più piccolo rumore. È spaventata dai francesi, dalla loro scostarsi, dal loro sospetto. Ricorda il villaggio, la famiglia, il calore. Curiosamente, mi ha ricordato un po' le comunità di cui parla Wendell Berry.
Penso si sia capito che mi è piaciuto un sacco, e conseguentemente lo consiglio moltissimo.

La ragazza dagli occhi verdi di Edna O'Brien – traduzione di Franca Cavagnoli - edizioni e/o, 2010

Questo libro è stato per me un errore. E non perché non mi sia piaciuto, invero l'ho adorato, e divorato nel tempo di un'andata e un ritorno in treno fino alla città della mia università. Peccato che, a quanto pare, fosse il secondo volume di una trilogia iniziata, a quanto ho intuito, con Ragazze di campagna, e terminata con Ragazze nella felicità coniugale. Che ora voglio entrambi. Violentemente. Infatti li ho piazzati nella lista di compleanno.
Dunque, il libro si legge benissimo pur senza aver letto il volume precedente, questo lo posso assicurare. Mi spiace solo di sapere com'è finito il primo libro senza averlo letto, ecco. Accortezza.
Irlanda. Un sacco di meravigliosa Irlanda, che per me è meravigliosa anche quando non la è. La protagonista è Caithleen, una ragazza cicciottella che lavora in un emporio a Dublino, vive con la migliore amica Baba, e legge. Ogni tanto si imbucano a feste alle quali non sono state invitate, cercano di divertirsi, ridono un sacco. Poi Caithleen conosce Eugene, più grande di lei, raffinato, ben poco irlandese. E la storia prosegue com'è ovvio che prosegua, almeno fino a un certo punto. Il fatto è che Caithleen è, come dal titolo del precedente libro, una vera ragazza di campagna.
È un bel libro, con la sua storia d'amore, il suo scorcio d'Irlanda, le sue risate. Consigliaterrimo.