Dunque,
Florence Gordon di Brian Morton, da poco pubblicato da
Sonzogno nella traduzione di Maura Paolini e Matteo
Curtoni, e assai gentilmente speditomi dalla casa editrice.
La
casa editrice ha ripreso esattamente il titolo originale, così come
probabilmente l'ha voluto anche l'autore. Io più che “Florence
Gordon” e basta l'avrei chiamato “Florence Gordon & Family”,
visto che la famiglia del figlio di Florence ha un suo peso rilevante, anche indipendentemente dalla protagonista. E questa sul titolo è
l'unica critica che mi viene da fare al libro. Penso che da questo si
possa intuire il mio gradimento.
Florence
ha settantacinque anni, è una perfetta newyorchese, abita da sola e
nonostante il passare dei decenni continua a incontrarsi
periodicamente con le stesse amiche dai tempi del college. È una
femminista vecchio stampo, scrittrice di saggistica di nicchia, e sta
cercando di scrivere le sue memorie nonostante il mondo esterno,
nella forma di amici decisi a farle una festa a sorpresa e la
famiglia del figlio che si trasferisce a Manhattan per qualche tempo,
continui a mettersi in mezzo per toglierle le mani dalla tastiera.
Florence
è fantastica e basta. È dura, acuta, critica, immensamente giusta, anche
con se stessa. È quella persona che se uno passa davanti alla coda,
reagisce fino a farla scapicollare in fondo alla fila. E questo è
uno degli aspetti di Florence che si amano di più, ovvero che se è
convinta che qualcosa sia sbagliato, si metterà in mezzo senza stare
a filosofeggiare tanto. Che a volte le discussioni sono una scusa per
attardarsi, per non attivarsi, per vedere se qualcuno fa la prima
mossa. Florence no, lei parte, casomai scriverà poi un articolo postumo
all'azione, in cui parla dei perché e dei per come e farà
collegamenti sagaci con altri pensatori del passato recente.
Essendo
una vecchia femminista, Florence non è mai stata granché famosa. Ha
avuto un suo peso all'interno del movimento, il suo nome
compare talvolta nei saggi dedicati all'argomento, niente di più.
Finché un giorno il suo ultimo libro non viene recensito in termini
estremamente positivi sul New York Times, e nei circoli intellettuali
sparsi per tutti gli Stati Uniti si comincia a parlare di lei e delle
sue battaglie. E per Florence inizia un periodo di notorietà, in cui
non cambia poi molto. O meglio, è Florence che rimane Florence, in
tutta la sua gloriosa ostinazione.
Dicevo
che avrei aggiunto la famiglia di Florence al titolo. Una famiglia
che mi è piaciuta molto, in tutti i suoi componenti. Come elementi
narrativi e, dopotutto, anche come persone. Mi sono piaciuti il figlio
Daniel, inspiegabilmente poliziotto, sua moglie Janine, una psicologa
richiamata a Manhattan per contribuire a studi sperimentali, la loro
figlia diciannovenne Emily, che si è presa una pausa dal college e
non sa bene cosa fare della propria vita, ed è quella che riuscirà
ad avvicinarsi di più a Florence.
Sono
belli – o meglio, interessanti – i rapporti che intercorrono tra
loro. Quello che Florence pensa e prova per Janine, quello che Janine
pensa e prova per il marito Daniel, quello che Daniel prova e pensa
per Emily. Veniamo a sapere tutto, anche quello che uno pensa che
l'altro pensi, e questo è un aspetto che ho particolarmente
apprezzato. C'è una scena, verso la fine – non è uno spoiler,
promesso – in cui si trovano tutti in una stessa stanza, e ognuno
cerca di interpretare il comportamento dell'altro, fallendo
miseramente. Non c'è nulla di intenso in quella scena, non è un
momento chiave del libro né delle vite dei personaggi, ma mi è
piaciuto moltissimo per l'uso che ne ha fatto l'autore, e per come ha
saputo renderlo. In un libro ironico alla Woody Allen – quello
degli anni '80 – era necessario un attimo di “Siamo una famiglia
perlopiù unita, ci vogliamo bene, ma siamo persone distinte e questo
ci impedirà di capirci appieno.” Per me, ci voleva.
È
un libro divertente, leggero eppure davvero intelligente. Ho adorato
Florence, che ha sempre ragione, che odia i telefonini, che ancora
dopo decenni risparmia all'ex marito la verità sul suo fallimento.
Ho apprezzato moltissimo lo scorcio di New York, le riflessioni di
Emily, la sua necessità di andare a fondo su tutto, la sua ricerca
di un punto fermo. E i dialoghi tra Daniel e Janine, e quanto di loro
si è visto, anche se non tutto era bello e apprezzabile, da un punto
di vista umano.
Non
so come potrei non consigliarlo visceralmente, io questo libro l'ho
veramente adorato. Colgo invero il sub-odore di interessata disonestà
nel lodare così intensamente qualcosa che si è ricevuto in omaggio.
Me ne rendo conto. Però è ganzo, diamine, è ganzo al punto che ho
problemi a esprimerlo.