Amedeo, je t'aime di Francesca Diotallevi

Amedeo, je t'aime di Francesca Diotallevi, edito da Mondadori nella neonata collana ElectaStorie, e gentilmente inviatomi dalla casa editrice.
Di Francesca avevo già letto e adorato il romanzo d'esordio, Le stanze buie, pubblicato un paio d'anni fa da Mursia. Tra l'altro è tra i finalisti del Premio Neri Pozza, e le farei tutti i miei auguri se non fosse in competizione con una delle mie migliori amiche. Quindi le faccio i miei secondi migliori auguri, ecco, sperando che siano abbastanza.
Dunque, Amedeo je t'aime. È diverso da Le stanze buie, come stile. Il primo era pregno, inglese, si dilungava, stiracchiava i paragrafi per abbellirli. Questo invece è più essenziale. Non secco, ma diretto. Lo stile è sempre bello, ma meno involuto e alto. Probabilmente non farei questa precisazione, se non avessi l'altro romanzo come paragone.
Io tristemente devo ammettere che Modigliani non lo conoscevo granché. Non che non mi piaccia, anzi, l'ho sempre trovato più che interessante come artista. Eppure non ne sapevo granché. Ricordavo che era stato a Parigi, che aveva frequentato la cerchia di Picasso e Braque, poi nient'altro. Credo dipenda dal fatto che la mia professoressa di storia dell'arte, alle superiori, non lo amava particolarmente. Deve averlo tralasciato come ha tralasciato Mirò, concentrandosi su artisti per lei più importanti. Non giudicatela male, è stata eccelsa e ho ricordi meravigliosi delle sue lezioni. Però Modigliani mi è rimasto una mezza lacuna, finché non ho letto questo libro. Non sapevo neanche perché il gatto di mia zia si chiamasse Modì, per dire.
E soprattutto, non sapevo di Jeanne Hébuterne. La sua compagna e la sua musa fino alla fine, che in questo romanzo è protagonista e voce narrante. Jeanne inizia a raccontare che ha ancora diciannove anni, porta i capelli acconciati in un due lunghe trecce infantili, frequenta l'accademia d'arte insieme all'amica Germaine. È il 1917 e soffre per il fratello André, incagliato in trincea, in guerra. Vive una vita tranquilla, salvo la preoccupazione per il fratello, e conseguentemente per i genitori.
Poi una sera incontra Amedeo, durante una festa. È riverso sull'erba a decantare poesia, ubriaco. E chissà come, Jeanne se ne innamora.
Sembra una storia d'amore. E lo è, innegabilmente. Ma è anche, e soprattutto, una storia di ossessione. I primi incontri tra Jeanne e Modigliani, un ritratto nello studio dell'artista. E poco a poco, mentre si tuffano in una relazione intensa e dapprima segreta, per Jeanne il resto del mondo scompare. Lei stessa scompare. Scompaiono la famiglia, il fratello, per lei rimane solo Modigliani, come fine ultimo, come universo intero. Tutto ciò che vive e pensa è per Amedeo.
Si può leggere in più modi, credo. Dopo un inizio che sapeva di storia d'amore, ho iniziato a sentirmi disturbata dalla dedizione totale di Jeanne per Amedeo. C'è un qualcosa – e non sono stata l'unica a notarlo – di Romeo e Giulietta. Una follia reciproca. Tempo fa ho sentito parlare della tragedia Shakespeariana da un punto di vista un po' meno romantico. Ovvero, la storia di due ragazzini che, in quanto ostacolati dalla famiglia, finiscono per idealizzare la propria storia e per uccidersi. Ma cosa sarebbe stato di loro, se avessero avuto tempo per crescere e conoscersi? Amedeo, je t'aime mi ha fatto pensare un po' anche a questo. Anche se penso che molti lo leggeranno come una splendida storia d'amore fatta di dedizione e sacrifici, da parte di entrambi. Ed è una lettura più che giusta, probabilmente più della mia.
Tra l'altro, durante la lettura del romanzo, quando leggevo le parole che Modigliani rivolgeva alla propria arte, dedicandovisi completamente, capace di rinunciare a qualsiasi cosa per la propria Opera, ho iniziato a pensare a una cosa. Ovvero a quanto sia cambiata la nostra visione degli artisti, a quanto poco siamo disposti a concedere loro. Amedeo Modigliani, che diamine, è Modigliani, diceva di non voler fare altro tranne che il pittore, che non si sarebbe mai abbassato a fare altri lavori per rispetto verso la propria arte. E pensavo a come oggi non accorderemmo che disprezzo e compatimento a una persona che si esprime in questo modo. Che magari sopporta la fame, il rifiuto, la miseria, tutto perché crede di dovere qualcosa alla propria arte.
Pensavo a quanto siamo solerti ad ammirare Rimbaud, Baudelaire, a schierarci con Toulouse-Lautrec e con Modigliani stesso, ma se qualcuno dovesse approcciarci oggi per parlarci negli stessi termini e darci uno scorcio di vita vissuta per qualcosa di più alto, beh, il meglio che può sperare è di essere cortesemente ignorato. E potrei inerpicarmi in oscuri anfratti filosofici a cercare una risposta alle domande sulla natura dell'arte e la natura dell'uomo, ma penso che ne caverei ben poco di plausibile, quindi chiudo qui l'elucubrazione.
E dunque, questo libro racconta la storia di Jeanne Hèbuterne e di Amedeo Modigliani. Con tutto il dovuto contorno di arte e Parigi, vita bohémien e tormenti per le opere inascoltate. Lo consiglio un sacco, un sacco. Più per Jeanne che per Modigliani, che in un paio di punti ha saputo veramente darmi i brividi. Non so se fosse questo che voleva Francesca, magari è un approccio diverso a una scena che vediamo identica. Comunque, mi è piaciuto moltissimo.