Un
anno con i francesi di Fouad Laroui – traduzione di Cristina
Vezzaro – Del Vecchio, 2015
Mi
sono aggirata attorno a questo libro, così come all'intero stand
della Del Vecchio, dal primo all'ultimo giorno di Salone, quando
finalmente l'ho abbrancato. Che io per le copertine Del Vecchio ho
un'adorazione sperticata, sono rimasta un sacco di tempo a
guardarmele tutte.
E
dunque, questo libro, finalmente prescelto. Parla di un contesto che
per noi è abbastanza ignoto e che pure io, se non avessi dovuto
leggerne per un esame l'anno scorso, non conoscerei affatto. C'era
una volta l'imperialismo francese nei paesi dell'Africa del nord,
come Marocco, Tunisia, Algeria, restituiti ai loro abitanti soltanto
intorno agli anni '60. È poco prima di quegli anni che è ambientato
questo libro, in Marocco, in un liceo di Casablanca, cui il piccolo e
confuso protagonista è destinato grazie a una borsa di studio. Mehdi
Khatib è l'unico marocchino in tutta la scuola, un collegio di
altissimo livello frequentato soltanto dai figli dei francesi
residenti in Marocco. E questo libro, narrato in terza persona ma
talvolta punteggiato delle sue fantasie, racconta del suo
spaesamento, sia culturale che umano. Perché Mehdi è uno di quei
bambini che viene da definire “speciali” e non sai se in senso
positivo o negativo. Probabilmente entrambi, a livelli diversi, in
momenti diversi. Portatissimo per lo studio, soprattutto della
matematica, ma claudicante nei rapporti sociali, anche quando si
tratta soltanto di una chiacchierata tra compagni di stanza.
È
un libro che consiglio moltissimo, perché ogni tanto è bene
trovarsi nei panni di Mehdi, e poi perché è divertente nel senso
più spiazzante, e allo stesso tempo onesto.
Traslochi
di Hebe Uhart – traduzione di Maria Nicola – Calabuig, 2015
Questo libro l'ho ricevuto in lettura dalla casa editrice (grazie, siori Calabuig!), e l'ho accettato perché non
sono mai riuscita a leggere narrativa latino americana, e speravo, un po' per la brevità del volume e un po' per la trama, che potesse "guarirmi". La mia distanza dalla letteratura latino-americana ha a che fare
col modo in cui vengono gestiti i legami tra il tempo e le storie, il
racconto sudamericano vive di una concezione diversa di trama. La
narrazione è fatta di un contesto di luoghi e personaggi, in
cui si accadono magari un sacco di cose, eppure non è sempre facile
capire perché o volute da chi.
Ecco,
non è che questo racconto lungo/romanzo breve si discosti dal
genere, da questo punto di vista. Eppure, per la prima volta, la cosa
non mi ha infastidita, anzi. Sono riuscita a entrare nel racconto,
anche se non sapevo sempre attraverso quali occhi stessi osservando lo
scorrere della storia.
Dunque,
c'è questa famiglia che abita in Argentina, nei dintorni di Buenos
Aires, a Moreno. C'è una donna che viene sempre chiamata “la
madre”, cui corrisponde “il padre”, e vivono entrambi dei vecchi modi, di praticità, di abiti che vengono usati a lungo e dai quali si possono ricavare degli stracci. Hanno tre figli ormai adulti, il fermo e
risoluto Domingo, grande lavoratore, impietoso giudice del mondo, un
moderno tradizionalista. C'è il fratello più piccolo e più
rilassato, Atilio, che gigioneggia con la propria vita. C'è la
sorella Marìa, che la vita non la capisce proprio, ondeggia tra la
sua mente e il mondo fisico. Poi Domingo si sposa con Teresa, una
donna che è il suo riflesso in femminile. E ci sono altri
personaggi, che girano intorno alla casa di Moreno e a questa strana
famiglia che continua a muoversi nel tempo, a crescere, a spostarsi.
E il romanzo breve/racconto lungo è qui, in questa strana famiglia e
nei suoi legami. Nei piccoli gesti che cambiano col tempo, anche se
il tempo si restringe e si dilata.
So
che non c'entra col libro in sé, però sono contenta di aver
finalmente gradito un libro così argentino, perché mia madre è
nata a Buenos Aires e, non so, mi dispiaceva che ci fosse un attrito
letterario così forte tra me e il suo luogo di nascita. Tra l'altro, per la
prima volta in tutti questi anni, ho finalmente trovato un
personaggio col suo nome in un libro. Dopo decenni di ripetutissimi
spelling, sono soddisfazioni.