Ho
un po' di libri da fare oggetto di una bella chiacchierata. Tipo
Lascia stare il la maggiore che lo ha già usato Beethoven di
Alessandro Sesto e La festa di Margaret Kennedy,
graditissimi acquisti del Salone spolpati nel giro di un paio di
giorni.
Però
no, di questa questione vorrei parlarne, anche se si tratta di una
discussione spiacevole che stava finalmente affievolendosi. Ho letto
abbastanza articoli e post sul tema, e penso che potrei facilmente
trovarne altrettanti se solo mi sforzassi di cercare ancora un po'.
Ammasserò in fondo al post qualche link utile per capire cosa
sia successo anche se, dopotutto, quello che è successo è
abbastanza palese.
La
questione della casa editrice ISBN e di Massimo Coppola,
il suo direttore editoriale, che non pagava i suoi collaboratori per
mancanza di fondi. Si sapeva, ecco. La voce era trapelata già da
qualche mese, e io, come molti altri blogger, da allora avevo cessato
di parlarne, di recensirne i libri, di consigliarne la pagina.
Per quanto le pubblicazioni possano essere interessanti, belle,
graficamente meravigliose, non si può sostenere un'azienda che non
paga. Non è giusto e basta.
Però
c'è da dire diverse cose. Intanto non dovrebbe essere considerato
normale che nessuna banca abbia voluto dare credito alla Isbn quando
questa si è trovata in difficoltà finanziarie per colpa della crisi
e di un brutto periodo di rese. Non stiamo parlando di due giovani
sprovveduti che domandano fondi alla San Paolo per aprire un centro di recupero per pappagalli
abbruttiti dall'inquinamento acustico. Stiamo parlando di una casa
editrice con un decennio di ottime pubblicazioni alle spalle,
rispettatissima nell'ambiente e con un gran seguito, anche piuttosto
affezionato. Che si rifiuti un prestito per permettere a un'azienda
di questo tipo di risalire non è normale. È assurdo, ed è una
nostra prerogativa. Non fingiamo che la BCE non abbia già fatto
notare più volte che i fondi alle banche italiane servano a fare
credito alle imprese, e non a giocherellare coi titoli di stato.
Rimane
il fatto che Coppola si è comportato in maniera orrenda. E non ha
importanza se nel chiedere spiegazioni qualcuno si lascia andare a un
lessico acceso e vivace, se non si può insultare uno che
non paga i propri dipendenti, allora possiamo anche disfarci del concetto stesso di insulto. Di errori Coppola – e
probabilmente non solo lui, diciamo i vertici di Isbn, quindi
probabilmente anche il suo socio – ne ha fatti molti, primo fra
tutti tacere la crisi che stava passando la casa editrice, quindi
sperare in un'annata migliore della precedente usando fondi che
avrebbero dovuti essere usati per onorare i debiti per proseguire
nelle successive pubblicazioni. E poi, ovviamente, nel non comunicare
tempestivamente coi creditori, nel non tenerli aggiornati. Infine,
nel trincerarsi in uno stizzoso silenzio dopo le ripetute richieste
di spiegazioni, fino all'inevitabile post sul sito della casa
editrice. E c'è poco da fare le vittime, perché se Hari Kunzru non
avesse insistito, la questione sarebbe ancora sommersa.
Eppure.
C'è un eppure, ed è per questo che nonostante il tema ormai
sviscerato, mi va di scrivere un post per dire la mia.
Io
adoravo (adoro?) la Isbn. Ne parlavo un sacco, la recensivo
spessissimo, era tra le case editrici che consigliavo di più, tra le mie preferite in assoluto. Per
libri come Skippy muore, come Alta definizione, come Le ultime cinque ore e
Player One. Non riesco a non pensare che la chiusura di Isbn
sarebbe una perdita enorme per i lettori, nonostante il deplorevole
comportamento di Coppola. E a quanto ne è emerso da una breve
chiacchierata al Salone con un paio di blogger, non sono neanche
l'unica. Quindi spero sinceramente che, così come ha fatto la
Voland, Isbn possa tornare in sella, trovare aiuto per gestire i
propri debiti e riacquistare il rispetto e la dignità che quest'orribile vicenda le ha strappato via.
C'è
un'altra cosa che vorrei aggiungere, ovvero che mi spiace che Coppola
(& company, suppongo) non si siano minimamente fidati della
comunità che hanno attorno, di colleghi e lettori. Mi rincresce che
non abbiano semplicemente ammesso di essere in difficoltà e di avere
bisogno di un po' di aiuto. Voglio dire, pensiamo a cos'è successo
quando alla Hacca, al Salone di Torino, hanno rubato l'incasso di
tutto il sabato. Tra parentesi, ma con lo sfracello di soldi che si
pagano per avere gli stand, fa proprio schifo mettere un minimo di
sorveglianza, visto che non è affatto la prima volta che succede?
Dicevo,
sabato hanno rubato la cassa alla Hacca, e non oso pensare come si
siano sentiti gli editori scoprendo di aver perso l'incasso della
giornata con maggiore affluenza. Solo che attorno ad Hacca è
sbocciata una solidarietà spontanea, improvvisa e sentita.
Moltissimi editori si sono interessati della vicenda e hanno iniziato
a esporre i libri di Hacca nei propri stand, invitando i lettori a
comprarli. Sui social network è stato un accorato rimpallo di
#tuttiperHacca, che spero sia servito a qualcosa.
E
dunque, volevo dire che forse, se in tempi utili in casa Isbn
avessero voluto ammettere di essere in difficoltà, forse avremmo
assistito a un #tuttiperIsbn, piuttosto che a un #occupayIsbn. La
comunità dei lettori, dopotutto, è fatta pure da tante belle
persone. Un po' di fiducia, dai.
(Questo non toglie affatto che non pagare i propri collaboratori, per una
qualsiasi ragione, sia un comportamento deplorevole ai massimi
livelli. Ma a me non interessa se Coppola sia o meno una brava
persona, un buon amico, un ottimo padrone di casa o se parcheggi in
doppia fila sulle strisce pedonali. Mi interessa che pubblichi libri
interessanti, e che lo faccia in un modo per cui sovvenzionare la sua
casa editrice non mi faccia venire l'orticaria.)