Invero oggi avrei voluto chiacchierare di libri, che ne ho tanti di finiti da discuterne. Il problema è il tempo che mi si sgretola sotto gli occhi mentre scrivo, grazie al professore del mio ultimo esame che solo poche ore fa mi ha comunicato di un enorme carico di lavoro. Università, ti ricorderò con estremo astio. Quindi risolvo con questo racconto scritto un paio di settimane fa, la seconda puntata di un qualcosa che mi viene da chiamare progetto, il cui primo passo è stata l'intervista a Victor Frankenstein. Questo racconto è un po' diverso, e infatti mi sono divertita un sacco a scriverlo. Ho ripreso sia Lord Ruthven, il malvagio vampiro, sia Polidori stesso e la sua cocente invidia verso Byron e l'alta società intellettuale inglese. Ne è venuto fuori qualcosa che, dopotutto, mi piace. Era anche l'ora.
Non
credo di essere mai entrata in una camera d'albergo così lussuosa, e
so che è stata l'aggiunta di un paio di nomi eccellenti alla lista
delle personalità da intervistare a salvarmi dal dover pagare da
sola un conto salatissimo. Tutto merito del mio informatore, che mi
ha fornito, non senza brontolare, non uno, ma ben due recapiti di
vampiri leggendari. Di uno, lo ammetto, non avevo mai sentito
parlare, ma mi è stato altamente consigliato di iniziare da lui, e di
non fargli sospettare neanche per un attimo che di lui non sapevo
nulla. Con tanti ringraziamenti a Wikipedia, sono riuscita a documentarmi in tutta
fretta, e ne verrà fuori un ottimo articolo con cui dare inizio alla
mia rubrica. Basteranno un titolo altisonante e una foto
accattivante, che non sarà affatto difficile da scattare,
considerando che ha voluto incontrarmi in un lussuoso hotel in stile
rococò, tutto velluti rossi e drappeggi di seta. Guardando il letto
a baldacchino che troneggia in mezzo alla mia camera, mi viene voglia
di coprirlo interamente con una stoffa da due soldi per non correre il rischio di macchiarlo. Istinto che combatte con quello più
triviale di mettermi a saltare sul letto, visto che questo materasso è il più
morbido su cui mi sia mai capitato di posare il deretano.
Ma
non ho tempo per cincischiare sull'abbagliante decadenza di questa
stanza. Il sole sta tramontando dietro i grattacieli di ____ e io non
mi sono ancora cambiata da quando sono scesa dall'aereo.
Cerco
di rimediare il più in fretta possibile, perché a quanto ho capito
l'uomo che intervisterò oggi non è di quelli che perdonano un
ritardo. Scommetto che è un ritardatario intenzionale e recidivo, di
quelli che spostano le lancette del proprio orologio pur di non
arrivare almeno un quarto d'ora dopo l'orario dell'appuntamento.
Tagliando via i miei soliti gorgheggi, riesco a esibirmi nella doccia
più veloce che io abbia mai fatto, mi asciugo i capelli con tanta
fretta e li pettino con tanta violenza che finalmente trovo in me un
qualcosa di mia nonna. L'unico ricordo che ho di lei risale alla
volta che le è saltato in mente di farmi una treccia, facendomi
piangere per mezzora mentre insisteva nella dannatissima cantilena
del “Chi bella vuole apparire”. Rimanendo inavvertitamente in
tema, mi infilo lo stesso abito scuro che indossavo al suo funerale,
e mi impiastriccio le labbra con un rossetto color sangue. Per il
resto, lascio stare. Ho visto come vanno in giro conciate le fan
della letteratura gotica e vampirica, un rossetto appena sbafato è
già da considerarsi una conquista.
Raggiungo
il bar, e il tavolino che ho riservato, con appena
cinque minuti di anticipo. Come volevasi dimostrare, di Lord Ruthven
neanche l'ombra. Meglio così. Mi siedo al tavolo, riparato per due
lati da un separé leggero coperto da una stoffa pesante e
arabescata, tiro fuori il registratore e il quaderno degli appunti, e
su questo inizio a fare uno schizzo della sala.
È
particolare, curata sotto ogni lugubre aspetto. Se non al suo
buongusto, posso fare onore alla coerenza con cui l'arredatore ha
coperto ogni superficie disponibile con drappi scuri e infiammabili,
di legni laccati di nero, decorazioni dorate, tende splendidamente
inutili, visto che il bar si trova nel piano interrato. Questione di
stile e accuratezza gotica, immagino. Seduta al tavolo, con le pagine
appena illuminate dalla fiamma di una candela che spero vivamente non
venga scontrata, cerco di abbozzarne i contorni, e mi domando che
tono dovrò usare quando scriverò l'articolo. Dovrei lodare
l'atmosfera cupa o sottolinearne la pretenziosità? Guardo i
camerieri insaccati in completi scuri e colletti alti inamidati, e mi
chiedo cosa ne penserebbero loro. Forse...
<<Sono
desolato per avervi fatta attendere. Il mio ritardo è deplorevole,
ma se avessi avuto modo di sapere che la mia intervistatrice è una
signorina così affascinante, credetemi, avrei fatto di tutto per
liberarmi.>>
La
sua apparizione improvvisa mi fa sobbalzare, e non ho dubbi che
questo fosse esattamente il suo scopo. Cerco di ricomporre un sorriso
mentre mi alzo per salutarlo, e lui mi afferra la mano per farmi
oggetto di un baciamano che mi fa rabbrividire, e non solo per la
forzata affettazione. Quest'uomo è gelido, ed è come stringere la
mano a una statua di marmo appena riesumata da una montagna di neve.
<<Sediamoci,
vi prego.>>
Mi
siedo dal mio lato del tavolo, mentre Lord Ruthven si adagia sul suo
con una grazia insopportabile per un uomo della sua età e del suo
vestiario. Lo fisso senza riuscire a trattenermi, e per la prima
volta mi chiedo se la sua immagine comparirà nella foto che intendo
fargli. Di certo, lui si è impegnato come se fosse certo del
risultato. I capelli sono acconciati in morbidi riccioli scuri che
gli incorniciano le guance sulle quali fa bella mostra una barba
fine, puntuta, precisa al millimetro. Gli occhi chiarissimi – lenti
a contatto? - sono sormontati da sopracciglia folte, ma drittissime.
Ha il naso sottile, dritto, appena una lieve gobba in alto. Ma non è
il viso quello che colpisce, quanto lo sforzo evidente nel vestirsi
nel modo che più al mondo potesse suggerire la parola “vampiro”.
Il cappello a cilindro, ad esempio. O la camicia candida i cui pizzi
escono vivaci dal gilet di seta color vino, e dalle maniche della
giacca lucida blu navy. Un cammeo imprigiona i pizzi sotto il suo
collo, alle dita lunghe e pallide porta innumerevoli anelli, di cui
non sono in grado di quantificare il valore. Potrebbero essere
diamanti come pezzi di vetro.
<<La
vostra chiamata mi ha lasciato alquanto perplesso>> esordisce,
facendo balenare i canini in un sorriso esagerato <<Non peccherò
di modestia negando di ricevere un numero rilevante di lettere e
telefonate dai fan, ma non mi era ancora capitato di essere
contattato da un giornale letterario.>>
<<A
volte ci vuole tempo, perché la letteratura venga accettata come
tale.>> lo blandisco, arricciando le labbra in un sorriso. Lo vedo
gongolare, e mi viene da pensare che quest'intervista sarà una
passeggiata.
<<E
così intendete intervistare alcuni tra gli eroi letterari più
celebri e influenti>> continua, alzando una mano per chiamare un
cameriere <<Posso avere l'ardire di chiedervi ragguagli sui nomi
degli intervistati?>>
<<Beh,
apriremo col l'articolo che vi riguarda il prima possibile, forse
già la prossima settimana>> mi premuro di fargli sapere,
chinandomi appena in avanti sul tavolino <<Dopodiché ci saranno
altri personaggi eccellenti. La famiglia Bennett purtroppo risulta
irrintracciabile, ma spero di riuscire a contattare almeno la più
giovane delle sorelle, Lydia. È possibile che io trascorra il
prossimo fine settimana a Parigi, in compagnia di un rumoroso
quartetto, immagino capiate a chi mi riferisco. E poi a Londra, per
incontrare un gentiluomo e il suo geniale maggiordomo.>>
<<Naturalmente,
naturalmente.>> annuiva, con il viso pietrificato in un'espressione
che rendeva immediatamente chiaro che non aveva idea di chi stessi
parlando. Decisi che sarebbe stato meglio lasciarlo nell'ignoranza
piuttosto che umiliarlo spiegandogli a chi mi stessi riferendo.
<<E
non dimentichiamo il suo figlioccio letterario, il Conte Dracula.>>
<<Il
mio...!>>
Salta
sulla sedia con una velocità e una furia che mi fanno balzare
all'indietro sulla mia panca. Gli occhi si fanno più scuri, e
capisco che non possono essere lenti a contatto, perché se fossero
tali gli starebbero colando sulle guance. È inferocito al punto di
ansimare, e con una mano sta stringendo il bordo del tavolo tanto
forte da deformarlo.
<<Non
considero Dracula il mio figlioccio letterario.>> sbuffa, tentando
di ricomporsi <<Non più di quanto consideri miei figliocci il
gatto con gli stivali o il pifferaio magico.>>
Incrocia
le braccia sul petto, lanciando un'occhiata sprezzante al mio
quaderno aperto pieno di schizzi, e fissando trucemente il cameriere
che è arrivato a prendere la nostra ordinazione. Prima che riesca a
impedirglielo, ordina vino rosso per entrambi, e a me non resta che
arrendermi e tacere sulla mia astemia.
<<Vorrei
accendere il registratore, se per voi va bene.>> gli dico,
allungando una mano verso il pulsante d'accensione. Attendo il suo
secco annuire prima di schiacciarlo. Quella che avrebbe dovuto
essere l'intervista più facile di tutta la mia carriera si è
appena trasformata in un incubo
<<Dunque>> esordisco <<voi siete stato dipinto come un ammaliante mostro,
primo ad avere mescolati insieme il fascino e la minaccia
dell'assassino.>>
<<Esattamente.>> sospira lui dopo qualche secondo <<Fa piacere che almeno questo
se lo sia segnato.>>
<<Avete
nulla da aggiungere in proposito?>>
<<Nulla.>> sbuffa.
<<Nel
Vampiro>> continuo, imperterrita <<vi prendete particolarmente a
cuore un ragazzo giovane e sprovveduto, Aubrey. Perché questa
predilezione?>>
<<Oh,
Aubrey!>> esclama, ritrovando il sorriso tutto d'un tratto <<Caro
ragazzo, che animo nobile. Troppo buono per questo mondo, di una
gentilezza irresistibile per uno come me.>>
<<Cosa
intendete con “uno come me”?>>
<<Signorina.>> sogghigna, chinandosi in avanti e regalandomi un sorriso appuntito
ad accompagnamento di una frase che deve essersi ripetuto in testa
almeno mille volte <<Io sono il male, il male più puro. Ed è
scopo del male corrompere il bene. Ecco perché ho scelto Aubrey,
quando avrei potuto scegliere chiunque altro.>
<<E
la sorella, lei...>>
<<Cara
ragazza.>> mi interrompe, con un gesto distratto della mano <<ma
avrebbe dovuto morire.>>
È
curioso rendersi conto tutto di colpo di chi ci troviamo realmente
davanti. Lord Ruthven è un vanesio imbecille, e non smetterò mai di
raffigurarmelo come tale. Ma c'è del vero, quando afferma di essere
il male. Scegliere un giovane innocente e cercare di distruggerne
uccidendone la sorella diletta. Mi chiedo se sia stato saggio
scegliere di intervistarlo – non ho dubbi che almeno la data di
uscita della stessa mi salverà da un destino analogo a quello che
avrebbe voluto riservare a Lady Margaret – e comincio a temere il
giorno in cui dovrò sedermi al tavolo con Dracula, per chiedergli
delle sue malefatte.
<<Non
amo l'incompiutezza, ma so accettare la sconfitta.>> dice, con un
tono che lascia immaginare quanto poco la pensasse così all'epoca <<Inoltre mi pregio dell'aver reso un favore a chi trema di notte,
temendo l'infallibilità del mostro.>>
<<Capisco.>> annuisco, prendendo appunti <<E ditemi, proprio voi che avete
dato origine al mito del vampiro così come lo conosciamo ora, quali
sono gli esempi di...>>
<<Non
me lo chieda, per l'amor di Dio, non me lo chieda!>> ruggisce,
buttandosi all'indietro contro lo schienale <<Oh, se avessi saputo
quanto lo spargersi delle mie gesta avrebbe comportato...>>
<<Intuisco
che ritiene la figura del vampiro... ecco, eccessivamente sfruttata?>>
<<Non
c'è bisogno di cercare candidi eufemismi per dipingere uno scenario
infernale. Non esiste nemmeno un vampiro che io possa chiamare
“figlio” senza sentirmi strizzare l'anima in una morsa di fuoco
e imbarazzo.>>
Il
nome di Dracula mi balena sulle labbra, ma mi affretto a richiuderle.
Lord Ruthven è abbastanza scosso di suo, e la sola menzione del suo
collega più famoso agirebbe come una cascata di benzina sulla sua
ira.
<<Capisco.>> ripeto, cercando di stamparmi sul volto l'espressione più vuota
di cui sono capace. Impossibile mimare comprensione <<E per quanto
riguarda la letteratura orrorifica nel suo complesso, trovate che vi
siano presenti figure che possano trovarvi, ehm, favorevole?>>
Nel
quarto d'ora che seguo imparo quanto sia difficile passare più di
due minuti con Lord Ruthven senza iniziare a parlare mimando il suo
fraseggio pomposo, e quanto sia semplice intervistare un soggetto
tanto pieno di livore. Basta un'imbeccata che parte a spettegolare
dell'immeritato successo di uno, dell'aspetto turpe dell'altro, di
fan delusi e cadute di stile. Simula clemenza quando vira verso
alcuni tra i personaggi più sfortunati, dimenticati in nugoli di
polvere tra i remainders delle case editrici minori, ma si infervora
non appena accenno un nome più famoso. Dracula è il suo acerrimo
nemico, il suo Moriarty, ma prova un odio cocente anche per Lestat,
per Carmilla, perfino per Edward. Grugnisce quando accenno a quanto
la letteratura fantastica debba alla sua storia, e incenerisce con lo
sguardo il cameriere che ci porta i bicchieri di vino, indignato per
il mio costante accenno a terzi. Ma non posso farci nulla: la storia
di Lord Ruthven è piatta e lineare, classica e prevedibile come una
biglia su un rettilineo in pendenza, e non offre molti spunti se non
per l'influenza sulla letteratura che ne è seguita.
<<Ma
virando verso argomenti più triviali...>>
<<Più
triviali di Harry Potter?>> borbotta lui, a braccia conserte.
<<… mi
domandavo se non voleste raccontare ai nostri lettori come siete
solito passare le vostre serate, e come gestiate il rapporto coi
vostri fan.>>
Il
tema lo rinvigorisce. Mettete quest'uomo al centro di una frase,
penso, e vi costruirà un monumento. A se stesso.
<<Vi
renderete conto voi stessa di quanto, benché adeguandomi ai modi
del vivere odierno, io sia rimasto affettuosamente ancorato al
passato che mi ha dato vita.>>
Allarga
le braccia per mettere in mostra il suo outfit, che personalmente
trovo molto poco ottocentesco. Mi appunto mentalmente la perfetta
descrizione del suo vestiario: con quella giacca lucida e tutti quei
pizzi, sembra appena uscito dall'armadio di mia nonna. Tuttavia, non
oso scriverlo sul quaderno, poiché, se dovesse leggerlo, potrebbe
staccarmi la testa dal collo con irrisoria facilità. È quasi
criminale che un essere tanto sciocco possa essere parimenti
pericoloso. Non lo trovo giusto.
<<Eppure,
mi compiaccio di ciò che l'era moderna mi offre. Esco per recarmi
all'Opera come un tempo, ma non disdegno l'uso del computer, per
quanto lo trovi un aggeggio infernale. Ho uno stereo piuttosto
potente, ma mi rifiuto di leggere libri elettronici, conoscete
sicuramente, i cosiddetti ebook. Manchevoli di atmosfera, di vita,
di anima.>> sentenzia, sfarfallando con le mani, ipnotizzato forse
dai suoi stessi anelli <<Coi miei fan, ah, anime adorabili, mi
tengo spesso in contatto coi metodi moderni. Ho dei profili sui vari
social-network grazie ai quali organizzo incontri e innocue
festicciole per quanti vogliono ricordare con me i bei tempi andati.
Feste in maschera, perlopiù. Molto esclusive, com'è giusto che
sia.>>
<<E
come trascorre Lord Ruthven una serata normale?>> sospiro, lieta di
scorgere in fondo al tunnel la fine dell'intervista. Nessuno di noi
due ha bevuto un sorso di vino, e mi chiedo se il cameriere penserà
che sono anch'io un vampiro.
<<Viaggio
molto.>> risponde <<Vago per le strade delle città più
meravigliose del mondo. La vecchia Europa, quanto adoro la vecchia
Europa.>>
Vorrei
fargli notare che siamo nella vecchia Europa, e non c'è alcun
bisogno di mostrarsi nostalgici. Ma poiché sta motteggiando i
moderni vampiri americani, e coglierlo in fallo potrebbe essermi
fatale, decido di soprassedere. Sarà un articolo facile da scrivere,
ma difficile da presentare al redattore. Nulla mi assicura che Lord
Ruthven non verrà a reclamare la mia testa, dopo aver letto quello
che penso di lui, ma il mio orgoglio di giornalista non può essere
fermato. E soprattutto, questo tipo mi ha dato troppo ai nervi perché
io risparmi la sua reputazione.
<<Le
città più grandi sono punteggiate qua e là di confortevoli
ritrovi per quelli della mia risma.>> continua <<Ma essendo una
giornalista, immagino che ne siate già a conoscenza.>>
<<Soltanto
vagamente. Vorreste essere più specifico?>>
Ma
ha già ricominciato a brancolare nei suoi complessi irrisolti.
Blatera delle sue serate in una lussuosa locanda in cui i camerieri
lo guardano con timore e gli avventori allungano il collo in sua
presenza, offrendogli il proprio sangue con ardore.
Alla
fine mi arrendo all'evidenza. Da questo buco non caverò né un ragno
né un moscerino. Dapprima attendo che finisca di sproloquiare, poi
allungo una mano nella mia borsa e schiaccio il tasto del telefono
che fa partire la suoneria. Come nei peggiori appuntamenti galanti –
almeno, così raccontano le sit-com – fuggo dal tavolo con una
scusa strappalacrime su una zia in ospedale e un incidente d'auto.
Ringrazio che Lord Ruthven sia troppo pieno di sé per chiedermi
informazioni più concrete, perché non saprei dargliene.
Non
ha importanza che sia un mostro spaventoso, dalle zanne aguzze e
assetato di sangue umano, che si sia lasciato alle spalle una lunga
scia di cadaveri innocenti, ogni secondo passato in compagnia di
questo patetico megalomane si può considerare sprecato. Scriverò un
articolo impietoso, sperando che non ne vada dalla mia giugulare.