Domani
è Pasqua, non Natale. Eppure ieri sera, tornando a casa, ho scoperto
che nel mio paesello si era deciso di festeggiare la Pasqua in stile
natalizio, appendendo le luci ai balconi. Non ho ben chiaro che senso
abbia, ma mi riprometto di regalare uova di cioccolato il prossimo
dicembre.
Quando
parlavamo con i morti di Mariana Enriquez – traduzione di Simona
Cossentino e Serena Magi – Caravan, 2014
Questo
è stato il primo ebook che io sia riuscita a leggere da un anno a
questa parte, mese più, mese meno. Sarà che è piuttosto breve,
sarà che pur essendo corto è diviso in tre racconti. Sarà che sono
racconti da cui non ci si riesce a staccare, soprattutto il primo, il
cui incipit mi era rimasto impresso in memoria nonostante l'allergia
al formato elettronico.
Dunque,
i tre racconti. Mi è abbastanza impossibile recensire racconti, ma
tenterò comunque, fallendo ma non in perseveranza. Il primo, quello
che dà il titolo al libro, racconta di un gruppo di amiche
adolescenti che si riuniscono per parlare con i morti con le
tavolette ouija, quelle che permetterebbero agli spiriti dei defunti
di scrivere un messaggio segnalando le singole lettere. Nel secondo
racconto, si vede un'inaspettata degenerazione nell'aberrazione
dell'acido buttato in faccia alle donne, in seguito a quella che pare
quasi un'epidemia. E credetemi, è una cosa che... onestamente,
assurda quanto esaltante. Il terzo racconto, il più lungo, è anche
il più inquietante. Parte come un giallo, da una donna che ha il
compito di creare un database per i bambini scomparsi, e poi si
trasforma in qualcosa di orribile. Inquietante a livelli, e per
ragioni, che è difficile spiegare, soprattutto se si vuole evitare
di dire troppo.
I
tre racconti hanno in comune una cosa, a parte stile e ambientazione.
Partono da un punto normale, logico, condivisibile e poi si
trasformano in un “E se?” orrorifico. Non in senso stretto o di
genere letterario. Fa orrore perché è estraneo, disordinato
rispetto al mondo come lo conosciamo, ma troppo vicino perché
possiamo allontanarlo dalla mente. Quindi... beh, lo consiglio un
sacco. Spero che la Caravan partecipi al Salone.
La
cameriera era nuova di Dominique Fabre – traduzione di Yasmina
Melaouah – Calabuig, 2015
La
Calabuig è nata da poco, da una costola della Jaca Books, o almeno
così mi è parso di capire. Si ripromettono di pubblicare libri
lontani da noi, non tanto per genere, ma per abitudine geografica.
Questa è la loro terza pubblicazione, e mi è stata gentilmente
mandata dall'ufficio stampa.
Dunque,
vediamo. È un libro piccolo, breve, più un racconto che un romanzo,
ed è per questo che mi torna meglio recensirlo in forma breve. Il
protagonista e narratore è Pierre, un uomo normale, un cameriere di
mezz'età che lavora in un bar di Parigi. È affascinato da alcuni
dei clienti abituali, è abituato a lavorare duramente, così come a
mediare tra i due padroni del locale, marito e moglie. Inizia a
raccontare in un momento particolare nella vita del bar, e ne
racconta brevemente il cuoco, la nascita, la rivalità con quello di
fronte. Pierre è un uomo strano, da quanto è normale. Non è
animato da particolari passioni, ha un solo amico, è divorziato. Fa
del suo meglio per stare al mondo, e questo è quanto. La cosa più
interessante che si può dire di lui, e che sembra portarsi addosso
continuamente, è la sua essenza di cameriere. Che, non so, è un
tipo di lavoro che mi ha sempre un po' incuriosita. Dover vedere così
tanta gente, doversi mostrare sempre così gentili, pronti
all'eventuale chiacchiera, pronti a dimenticarsi chi entra ed esce
dalla stessa porta. Un punto fermo in una stanza che cambia tutti gli
altri occupanti.
L'atmosfera nebbiosa del libro risalta durante la lettura, e rende arduo il giudizio risolutivo. Una
lettura bella, un po' spiazzante, forse. Perché Pierre sembra
rimanere immobile in mezzo a Parigi, anche quando si muove. Difficile trovare una soluzione, un punto che sia un punto, capire cosa volesse raccontarci Fabre di Pierre, e come vorrebbe che reagissimo.