Metto
le mani avanti, prima di iniziare a scrivere del fulcro del post.
Sarà uno dei più brevi che io abbia mai scritto, perché per quanto
ci sia da dire e da discutere di questo libro, non si può fare senza
andare orrendamente avanti nel disvelamento della trama. Quindi
quanto pubblicherò non sarà che un moncherino, un mozzicone di
recensione. Altrimenti potrei provare ad allungare il brodo con
astuti trucchetti quali lunghe introduzioni, o annaspanti
riflessioni, o cambiamenti tattici d'argomento. Ma no, sarò fedele
ai dettami di Tamburino, l'amico di Bambi la cui saggezza andrebbe
impressa su una roccia usando Excalibur come scalpello.
“Quando
non hai niente da dire, è meglio non dire niente.” Che non è
neanche un brutto consiglio di scrittura, a ben vedere.
Dunque,
Il pendolo di Foucault, secondo romanzo di Umberto Eco,
edito da Bompiani nel lontano 1988.
Tutto
mi aspettavo, tranne che mi parlasse di templari e rosa-croce. Di
complotti e richerche e sub-complotti. In realtà, a parer mio – ma
penso sia una questione abbastanza palese – è un libro che parla
della formazione del significato, e del potere che hanno le parole di
comandare la materia. Però intanto Eco ha scelto di parlarne usando
come maschere i templari e i membri di una piccola casa editrice
milanese dalla doppia faccia, da un lato la rispettabile Garamond e
dall'altro l'esecrabile Manuzio a pagamento. O magari un giorno Eco
ha incontrato un vecchio amico e questo, conoscendone l'erudizione
storica, gli ha dato di gomito iniziando a bisbigliargli di un ordine
antico, di graal e quant'altro, e a Eco è venuto da ridere, e Il
pendolo di Foucault è nato così, da una risata trattenuta.
E
dunque, il libro è tutto qui, per lungo che sia. La scrittura della
tesi incentrata sui templari del protagonista, e poi la vita in una
piccola casa editrice, l'inizio nella Milano bene che si rifiuta di
essere Milano bene, ma prima o poi si lascerà ammansire. Misteri di
altri luoghi, fili tirati con forza per fare combaciare diversi
sistemi di credenze. Personaggi misteriosi, personaggi tisici,
personaggi gonfi di illusione. Una tromba, un pendolo, messaggi
cifrati. Una mappa, Parigi, tre eruditi annoiati che pensano a un
Piano.
E
di più non voglio parlare, che già ho detto troppo.
È
un bel libro, davvero un bel libro. Anche se avrei mozzato via con
un'accetta quelle duecento pagine e passa di ordini e contrordini, mi
hanno fatto arrivare alle centocinquanta ultime pagine col fiatone.